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486 | la scolastica. |
Per provedervi. Oh infelice e misero
Stato d’amanti, a cui fortuna perfida
Sempre s’oppone e sempre tende insidie!
Come poco accidente a infelicissimo
Stato m’ha tratto, ch’era beatissimo
E fortunato sopra quelli ch’amano
Tutti! Poc’anzi, che la dolce Ippolita
Mi tenéa in braccio, il mio côr, la mia anima,
Paréami esser salito più che aquila
Non sale al cielo quando porta il fulmine
A Giove, come dicono; ed or veggomi
Qual fulminato nel profondo baratro
Del crudo inferno! A che m’ha tratto il subito
Ritorno di mio padre, ed il consiglio
Incauto, che m’ha dato la mia bestia!
Ma più mi duol d’aver a cotal termine
Condotto la mia Ippolita, che’l proprio
Danno che avvenir possami; ch’io ’l merito.
Mi mancavano stanze ove condurre io la
Potessi, senza porla in questo carcere,
Onde ritrarla non trovo consiglio?
Ma faccio come l’augeletto timido
Che alcuna serpe non gli guasti i piccioli
Figliuoli, che quantunque non sia valida
A salvarli, dal nido non sa môversi.
Non veggo com’io possa la mia lucida
Stella rìtrar da questi folti[1] nuvoli:
Pur di qui intorno non mi so rimôvere.)
Bartolo.(Cosa non ho potuto ancora intendere
Ch’egli abbia detto: ma comprendo l’animo
In gran travaglio.)
Eurialo. (Io veggo colà, misero
Me! mio padre. Per timor mi tremano
Le membra d’un in uno,[2] e fatto è stupido
L’animo, nè consiglio in capo sorgemi.
Io sento tutto il viso tramutarmisi:
Vah, che farei s’andassi per combattere?)
Bartolo.Eurialo.