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atto quarto. — sc. viii. 489
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So che vorrà procedere d’ingiuria,
E far tutto quel mal che fia possibile,
S’io non consento a questo matrimonio.
Ma avvenga quel che vuol. Ch’io prenda carico
Di moglie senza dote? Oh che bell’utile,
Oh che spasso aver tali uccelli in gabbia,
Se non s’hanno portato esca da pascere!
Voglio veder quel che n’ha da succedere.




ATTO QUINTO.



SCENA I.

LA VERONESE.


Gli è buon pezzo che fummo in una camera
Tratte Ippolita ed io, dove fu impostone
Che mostrassim[1] dormir: ma non dissimile
Fu il dimostrar dal ver; che con tal grazia
Ci addormentammo, che, se non ch’un strepito
Grande sentito in casa mi fe muovere,
Ancora dormirei, come fa Ippolita.
A questo sonnolenta corsi subito,
E trovai come due, credo, domestici,[2]
Con la fantesca, ben stretto teneano
Legato con mal garbo il nostro Accursio;
E così in certo luogo, che comprendere
Non so s’è magazzino o necessario,
Lo vidi porre e molto ben rinchiudere.
Questo per commission, per quanto possomi
Immaginare, è stato di ser Bartolo
(Così messer vecchio di casa chiamano),


  1. L’autografo ha mostrammo; e ben potevasi accogliere l’emendazione fatta da Gabriele di questo curioso qui pro quo grammaticale, che trovasi ancora nelle antiche edizioni.
  2. Vedi la nota 3 a pag. 278. Ognuno poi, penso, debba comprendere quanto migliore sia questa lezione dell’autografo, che la seguita comunemente: come due che di casa erano.
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