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atto quinto. — sc. i, ii. | 491 |
Io mi sarei restata; ma il pericolo
Di toccar delle busse, e farsi scorgere
Per tutta la città, m’ha fatto fuggere.
Ma chi sarà che mi presti ricapito,
Ch’io non conosco in questa terra un minimo?
Ma, chi veggio io[1] colà, che mi par ch’abbia
La parte mia dell’allegrezza, e giubila
Come se avesse ritrovato un cumulo
Di danar? Ei debbe essere cibatosi,
Ed aver tocco il vitriol[2] più comoda-
mente che non ho io, che ancor vedutolo
Non ho da jeri in qua. Mi par conoscerlo.
È egli pur messer Claudio, o pur závario?[3]
Egli è pur desso: ma che far mi debbia
Non so ben giudicar. Diràmmi un carico
Di villania, ch’io sia senza licenzia
Di casa di madonna dipartitami,
S’io me gli fo veder. Ma i tempi insegnano
Quello che s’abbia a far, e[4] accomodarsegli
Siamo necessitati. Dianzi ascondermi
Da lui mi parve;[5] ed ora a lui ricorrere
Mi è forza, chè mi salvi da quel Bartolo:
Ch’io nol conosco però tanto rigido,
Che per sì poca occasione vogliami
Per inimica. Ma più ancor confortomi,
Ch’io ’l veggo allegro. Andar a lui delibero.
SCENA II.
CLAUDIO, VERONESE.
Claudio.Io soglio pur per questa strada scorgere
Talor alcun mio amico: onde[6] può nascere
Ch’io non ne veggo di presente un minimo,
Nè da man ritta o da man manca, volgami
- ↑ Con errore l’autografo: «Ma ch’io veggio io.» E nelle stampe: Io vedo uno.
- ↑ Per Bicchiere di vetro, spiegano tutti i commentatori.
- ↑ Di questa voce vernacola è spiegazione la variante offertaci da G. A., e seguita nelle stampe: o pur fernetico.
- ↑ Manca «e» nell’autografo.
- ↑ Non bene pel senso, come a noi sembra, l’autografo: «Da lui poteva.»
- ↑ L’autografo: «unde.»