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atto quinto. — sc. iii. | 499 |
E intendo tutto il vostro desiderio,
Il qual, non men ch’onesto, è necessario;
E quando vi riesca, anco molto utile
Vi sarà, chè rimasto egli è ricchissimo.
Lazzaro.È morto il padre?
Bonifacio. Già due mesi passano.
Or vo a trovarlo, e spero far un’opera...
Claudio.(Or che altro aspetto?)
Bonifacio. Che vi fia gratissima.
Lazzaro.Come ve n’avrei obbligo perpetuo!
Bonifacio.Ma eccol, messer Lazzaro; vedetelo.
Messer Claudio, m’avete fatto credere
Quasi che siate partito. (Guardatevi
Di non mi nominar per Bonifacio.)
Claudio.(Io me ne guarderò: ma che significa
Questo tacer il nome?) Messer Lazzaro
È quello ch’è con noi, o Bonifacio.
Arègli fatto riverenzia...
Bonifacio. (Diavolo![1]
Son pur servito.)
Claudio. Ma non voglio[2] offenderlo.
(L’avéa obbliato.)
Lazzaro. Messer Claudio, piacemi
Vedervi qui: e se mai ingiuria fatta vi
Ho, me ne incresce e dôle. Orsù, lasciatemi[3]
La mano: questo è fuor di vostro debito.
Così vi vô baciar.
Claudio. Ed io domandovi
Perdono se son stato temerario
In casa vostra.
Lazzaro. Perdonato siavi.
Bonifacio.Signor dottor, perchè a messer Claudio
Ho bisogno parlare, perdonateci
Se vi lasciamo. Presto spediremoci.
Lazzaro.Parlate pur; non son per interrompere
E’ fatti vostri; e state a vostro comodo.
(Mi vò tirar addietro, acciocchè possano