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502 | la scolastica. |
SCENA IV.
BARTOLO, RICCIO[1] e detti.
Bartolo.Io veggo Bonifacio e messer Lazzaro:
S’io posso, voglio andar, che non mi veggano,
Presso lor.[2] Infra noi penso abbia ad essere...
Bonifacio.(Oh, potta del malanno! gli è qui Bartolo.)
Bartolo.Un strano e gran zambello,[3] col dïavolo.
Mi dice l’avvocato, che s’Eurialo
Per sorte avrà sposata questa femmina,
Ed anco senza aver da me licenzia,
Che sarà pur sposata. Sono stranie
Per certo queste leggi: e pur gran savii
Furon quei che le fecer! così dicono.
Ma come l’altre cose anco si mutano,
E dall’un tempo all’altro a peggio vengono,
Credo, come la fava quando piantasi,
Ch’è bella e grossa, e poi diventa picciola;
O veramente quelli che le chiosano,
Le fan dire a suo modo. — Uom dabben, fermati,
Or che non hai il modo di rivolgerti
Ad altra mano. Io vô teco discorrere
Che ragion t’abbia mosso a farmi ingiuria.
Bonifacio.(Deh, come è mai venuto così tacita-
mente? Mi par comprender che sia in collera.)
Bartolo.Ma prima vô saper come ti nomini.
Claudio.(Qui ha una bella baruffa da nascere.)
Bartolo.Io dico bene a te: come ti nomini?
Bonifacio.Par che non mi conosca! eppur è lucido
Il tempo.
Bartolo. Non ti dico non conoscerti,
Ma che mi dichi come tu ti nomini.
Bonifacio.Se tu confessi pure di conoscermi,
Tu dei sapere il nome; e quando sannosi
- ↑ Personaggio indicato qui nel manoscritto del vero autore, e omesso (tranne il Barotti) da tutti gli editori.
- ↑ Voglio andare lor dietro in guisa che non mi veggano.
- ↑ Così le antiche stampe; ove segue (con incertezza maggiore), non col, ma cò. Nè molto chiariscono il senso le moderne che scrivono zimbello, giacchè nè anco questa parola ebbe mai presso i buoni autori il significato che qui è forza attribuirle; cioè di Contrasto, Contesa, Rissa; e, come sembra più innanzi spiegato in persona di Claudio, Baruffa.