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516 l’erbolato.

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Ariosto-Op.minori.2-(1857).djvu{{padleft:526|3|0]]rendo, venne in opinione ch’egli fosse stato assai meglio non esser nato, e che la natura facesse in lui più officio di matrigna che di madre; come dice Plinio nel settimo.[1] Ma la Somma bontà non volse ch’egli stesse lungamente in questo errore ed in sì grave affanno; e gli mandò una ispirazione, per mezzo della quale gli fece vedere che un sol dono che particolarmente gli aveva concesso, oltre gli infiniti che gli erano dati in comune, non pur uguale, ma lo facéa di gran lunga superiore a tutti gli altri animali: e questo era la ragione, con la quale consigliandosi sempre, nè mai dagli ottimi ricordi di lei scostandosi, era atto a conseguire per sè solo tutte le grazie che fra molte e diverse specie di creature avéa il Ciel largo compartite. Avuto ch’ebbe il nuovo uomo quel lume, non più dando, come era solito, orecchie ai sensi, ma pigliando per consigliera e guida la ragione, s’avvide esser stato fatto da Dio principe e signore non pur degli altri animali, ma degli elementi ancora; e che tutte le cose che si trovano al mondo ci erano poste per suo utile e piacere, purchè pigliarle a tempo, ed a suo beneficio e conservazion sua, e non a destruzione della vita, dispensar le sapesse. Che sebbene gli era nudo, potrebbe, facendosi dagli inferiori a sè, a chi dar la lana o il pelo, a chi levando il cuojo e la pelle, coprir la sua nudezza,[2] e dal freddo e dal caldo ripararsi; e che dalla selvosa terra e dagli altri elementi potrebbe aver materia da difendersi dalle mutazioni dell’aria opportunamente; e che, per alleviare le sue fatiche, quindi potría medesimamente avere instromenti e macchine, con le quali, e con opera di più robusti animali, che con industria si sapría fare ubbidienti, ridurrebbe i rozzi campi a cultura ed a rendergli copiosissimi frutti; e se volesse da luogo a luogo môversi, usando ora l’agilità de’ cavalli, ora il corso dell’acque, e spesso aggiungendovi lo spirare de’ propizî venti, non avrebbe nè alle gambe de’ cervi nè alle penne degli uccelli invidia. E quantunque non gli fosse stato di native armi nè d’altra difesa dalla natura provvisto, s’avvide che molti di quelli ch’avéano i denti o l’ugne, si potéa far ministri, satelliti, a pigliare, occidere e cacciar quando questi e quando quelli che ovvero gli paressero nocivi e molesti, ovvero che per cibo o per altro suo commodo gli facessero bisogno.


  1. Cioè nel Proemio di esso libro, di cui anche tutte le altre cose fin qui dette sono imitazione: Ut non sii salis æstimare, parens melior homini, an tristior noverca fuerit.
  2. Bella voce, non registrata.
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