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518 | l’erbolato. |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Ariosto-Op.minori.2-(1857).djvu{{padleft:528|3|0]]fosse utile. E si può credere che se a quella antichissima antichità vivéano gli uomini le centinaja d’anni, non fosse (doppo la grazia dell’onnipotente Iddio) per altra causa, che per la diligenza e studio che a conservazione della propria vita usava ciascuno. E mi conferma in questa opinione Esculapio, medico eccellentissimo, non nato già in quei tempi quando generalmente la vita era sì lunga, ma in questi più inferiori, nelli quali non si vivéa più che si faccia ora. Di costui si riferisce che tanto si confidò nella scienza sua, che disse che se in tutto il tempo ch’egli stesse al mondo, mai fosse veduto infermo, non voléa esser riputato medico. E bene ottenne quanto già avéa promesso; imperocchè senza alcun dolore o molestia menò la vita sua oltre il centesimo anno. Il che faríano forse all’età nostra molti, se la inerzia, l’avarizia, la gola e la libidine, e più la superbia, non lo vietassi loro. Sono pochi che vogliano la fatica dello studio: e fanno più stima di ogn’altro guadagno, che di quello della sanità e della vita. Ed a molti pare a bastanza di saper tanto, che loro dia credito e reputazione di medico. Molti altri che sanno quello che loro sia nocivo, si lasciano vincere o dalla gola o d’alcun altro dannoso appetito. Ma la più parte, per superbia, non si degna di usare altro parere che ’l suo; e più tosto vuole che l’infermo muoja, che desister da quello che, o bene o male, abbia incominciato, rivocar quello che abbia detto una volta. E non vuole avvedersi che essendo infinite le specie delle cose, sarebbe impossibile che l’intelletto di uno uomo solo fosse ad investigare sofflciente le proprietà di tutte; e che per questo è fatto l’uomo sociale e conversativo,[1] ed ha avuto il dono della favella meglio che niuno altro animale, acciò che imparando costui questa cosa e colui quell’altra ed un altro un’altra, ed indi esplicando e mettendo ogni uno la sua in commune, si venissero o in tutto o per la maggior parte dilucidando e risapiendo.[2] Ma che dico io, che non sia alcuno per sè solo sofficiente a sapere tutte quelle cose, quando nè ancora quanti ne sono in una gran città nè quanti in una gran provincia siano sofficienti a saperne pure la centesima parte? Altre cose si sanno in Grecia, che non si sanno in Italia: molte in India, che nè in Grecia nè in Italia si intendono: e molte e molte che in diversi luoghi sono, nè si trovano altrove se non ivi.