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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Ariosto-Op.minori.2-(1857).djvu{{padleft:550|3|0]]credo, per parte delli denari che si hanno d’avere dal venditore delli miei Orlandi a Verona. Di che ringrazio quella, ma mi pajono pochi a quelli ch’io aspettava; e non posso credere che quel libraro non li abbia espediti tutti, perchè in nessun altro luogo d’Italia non so dove ne restino più da vendere: e se fin qui non li ha venduti, non credo che più li venda. Per questo saría meglio che il libraro li rimettesse qui, perchè súbito troverei di espedirli; poichè me ne son dimandati ogni dì. Vostra Magnificenzia, essendo risanata, come spero che ella sia, la prego che si sforzi di saper la cosa; che troverà che i libri sono venduti, e che quel libraro vuole rivalersi[1] di quelli denari. La si ricordi che io sono suo, e sempre me gli raccomando.

          Ferrara, 8 novembre 1520.

Vostro,          

Ludovico Ariosto.


Fuori — Magnifico Domino Mario Equicolæ, Secretario. Mantuæ.


X.[2]

A Giovanfrancesco Strozzi.

A nome dell’Alessandra Strozzi.


          Magnifico messer Giovanfrancesco mio onorando.

Io ebbi a questo dì una di V. S., la quale mi è stata cara per intender di quella: ma non che per sollicitarmi o ricordarmi della vostra cosa mi fosse di bisogno; perchè io non l’ho meno a côre, che se fosse particolarmente a mio grande utile; e mai non mi accade occasione di parlarne, ch’io non lo faccia con quella fede che mi par che mi sia debita. Ma circa questo non possiamo più stringere messer Guido[3] di quello che voglia essere stretto; il quale per modo alcuno non vuol che si parli


  1. Qui per lo stesso che Valersi. Quanto al costume di quel librajo, potrebbe opportunamente ripetersi l’assioma: Nihil sub sole novum. E già tutte le querele che alla giornata si fanno contro le varie classi delle persone, al cospetto dell’istoria divengono serotine.
  2. Pubblicata dal Barotti, tom. cit., pag. 391; e replicata in parte dal Baruffaldi, Vita ec., pag. 287.
  3. Guido Strozzi, figlio di quel Tito e fratello di quell’Ercole de’ quali abbiamo, dalle stampe d’Aldo e del Colineo, un lodato volume di latine poesie. — (Barotti.)
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