Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
50 | la cassaria. |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Ariosto-Op.minori.2-(1857).djvu{{padleft:60|3|0]]cercasse per ogni casa, fin che ritrovato fusse: e con queste e con altre infinite mie ciance a tal disperazion lo trassi, che non so torre tanto alta, donde non si fusse precipitato, per potersene di qui fuggire: poi, fingendomi pur desideroso di salvarlo, lo confortai che si riducesse a Caridoro, che sapea io che gli era amico, e che se da lui non avea ajuto o consiglio, non si sperasse averlo da altri.
Erofilo. E così ve lo conducesti?
Fulcio. Io seppi tanto cicalare, che ve lo trassi finalmente. Or vorrei quivi che veduto l’avessi, pallido, lagrimoso e tremebondo, dimandare, pregare, supplicare Caridoro, che avesse di sè pietate, abbracciarli le ginocchia, baciarli i piedi, proferirli, non che la giovene, ma quanto avea al mondo.
Erofilo. Ah, ah, ah, ah, ah!
Fulcio. Vorrei che Caridoro da l’altra parte veduto avessi simulare di lui pietoso, ma timido di incorrere in la nemicizia di suo patre, e pregarlo che se gli levassi di casa, e non volere essere cagione di volerlo metter[1] in disgrazia di quell’uomo, che più di tutti gli altri riverire e osservar devea.
Erofilo. Ah, ah, ah, ah!
Fulcio. Vorría che me veduto avessi in mezzo, raccomandare quel misero, e proporre a Caridoro che modi avea a tenere per ajutarlo.
Erofilo. Ah, ah, ah! saría stato impossibile ch’io avessi potuto ritenere le risa.
Fulcio. Al fin, io diedi per consiglio a Lucrano, che facessi Corisca venire, che con la presenza d’essa so che movería il giovene meglio ad ajutarlo. Accettò il partito, e scrisse questa polizza, e dièmmi per segno questo anello; e così vo a tôrre la femmina, alla cui giunta son certo che s’ha da concordare il tutto.
Erofilo. T’aspetta, dunque, il ruffiano alla stanza di Caridoro?
Fulcio. Va’,[2] ch’io ti tacevo il meglio. Noi l’avemo, perchè non sia da quelli di casa e quelli che vanno e vengono veduto, fatto appiattare sotto il letto, dove si sta con la maggior paura del mondo, e non osa, per non esser sentito, respirare.