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atto primo. — sc. i, ii. 65

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Nutrice.     E questa cosa tu l’hai per certa?

Polimnesta.     Per certissima. Dall’altra parte, Dulipo, facendosi nominare Erostrato, con la veste del padron suo, e libri ed altre cose convenienti a chi studia, e con la reputazione di essere figliuolo di Filogono, cominciò a dar opera a le lettere, nelle quali ha fatto profitto, ed è venuto in buon credito.

Nutrice.     Non abitano altri Siciliani qui, o non ce ne sono intanto mai venuti, che gli abbino scoperti?

Polimnesta.     Non ce n’è capitato alcuno per stanziarci, e pochi per transito ancora.

Nutrice.     È stata gran ventura. Ma come insieme convengono queste cose, che ’l studente, che tu vuoi sia Dulipo e non Erostrato, ti ha fatta dimandare per moglie a tuo padre?

Polimnesta.     È una finzione che si fa per disturbare il dottoraccio da la berretta lunga, il quale con ogni instanzia procura di avermi per moglie. Aimè! non è egli quel che viene in qua? Che bel marito! mi farei bennanzi[1] monaca.

Nutrice.     Tu hai ragion certo. Come ne viene per farsi vedere! Dio, che pazza cosa è un vecchio innamorato!


SCENA II.

CLEANDRO dottore, PASIFILO parasito.


Cleandro.     Non erano ora, Pasifilo, gente innanzi a quella porta?

Pasifilo.     Sì erano, sapientissimo Cleandro: non ci hai veduta Polimnesta tua?

Cleandro.     Eravi Polimnesta mia? per dio, non l’ho conosciuta.

Pasifilo.     Non me ne maraviglio: oggi è uno aere grosso, mezzo nebbioso, ed io l’ho più compresa a i panni, ch’io l’abbia raffigurata al viso.

Cleandro.     Io, la Dio grazia, di mia età ho assai buona vista, e sento in me poca differenzia di quel ch’io ero di venticinque o trenta anni.

Pasifilo.     E perchè no? sei tu forse vecchio?

Cleandro.     Io sono nelli cinquantasei anni.

Pasifilo.     (Ne dice dieci manco!)




  1. Così le antiche stampe. Le più moderne: ben anzi.

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