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atto primo. — sc. iv. | 71 |
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SCENA IV.
DULIPO, CRAPINO ragazzo di Erostrato.
Dulipo. O Crapin, che è di Erostrato?
Crapino. Di Erostrato? di Erostrato sono libri, veste, denari e molte altre cose ch’egli ha in casa.
Dulipo. Ah ghiotto! io ti domando che m’insegni Erostrato.
Crapino. A cómpito, o a distesa?[1]
Dulipo. S’io ti prendo ne’ capelli, ti farò rispondermi a proposito.
Crapino. Tarruò![2]
Dulipo. Aspettami un poco.
Crapino. Io non ci ho tempo.
Dulipo. Per dio, proveremo chi di noi corre più forte.
Crapino. Tu mi dovevi dare vantaggio, chè hai più lunghe le gambe.
Dulipo. Dimmi, Crapino, che è di Erostrato?
Crapino. Uscì questa mattina per tempo di casa, e non è mai ritornato: io lo vidi poi in piazza, che mi disse ch’io venissi a tôrre questo cesto, e che tornassi lì, dove Dalio mi aspettaría; e così ritorno.
Dulipo. Va dunque, e se tu il vedi, digli ch’io ho gran bisogno di parlargli. Meglio è che anch’io vada alla piazza, che forse lo troverò.
ATTO SECONDO.
SCENA I.
DULIPO, EROSTRATO.
Dulipo. S’io avessi avuti cento occhi, non mi bastavano a riguardare or nella piazza or nel cortile, s’io vedevo costui. Non è scolare, non è dottore in Ferrara, che non mi sia, eccetto lui, venuto ne i piedi: forse sarà tornato a casa. Ma eccolo finalmente.