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atto secondo. — sc. i. 75

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Erostrato.     Tu l’intenderai; nè a proposito più di questa si potea ritrovare.

Dulipo.     Orsù, sto attento alla conclusione.

Erostrato.     Vorrei che le parole avesti udite, e veduta la faccia e i gesti ch’io fingeva a persuaderli.

Dulipo.     Credoti più che non mi narri; che non è pur adesso ch’io ti conosco.

Erostrato.     Io gli soggiunsi, che notificato era per capital pena a li albergatori, li quali alloggiassero Sanesi e non ne dessero agli officiali avviso.

Dulipo.     Questo vi mancava!

Erostrato.     Costui di chi ti parlo, al primo tratto scôrsi non essere de’ più pratichi uomini del mondo. Come intese questo, volgea la briglia per ritornarsene indietro.

Dulipo.     E ben dimostra che sia mal pratico, credendoti questa baja. Come potrebbe essere che non sapesse quello che fusse nella sua patria occorso?

Erostrato.     Facilmente: se già più d’un mese se n’era partito, bene esser può che non sappia quello che da sei giorni in qua sia intervenuto.

Dulipo.     Pur non debbe avere molta esperienza.

Erostrato.     Credo che n’abbia pochissima, e ben reputo la nostra gran ventura, che mandato n’abbia tal uomo innanzi. Or odi pure.

Dulipo.     Finisci pure.

Erostrato.     Egli, come io ti narro, poichè[1] intese questo, volgea la briglia per ritornarsi indietro. Io, fingendomi star sopra di me alquanto pensoso a beneficio d’esso, dopo poco intervallo gli dissi: — Non dubitare, gentiluomo; ho ritrovato securissima via a salvarti, e sono deliberato, per amore de la tua patria, fare ogni opera che tu non sia per sanese in Ferrara conosciuto. Voglio che tu simuli essere il padre mio, e così tu ne verrai ad alloggiare meco. Io sono siciliano, di una terra là detta Catania, figliuolo d’uno mercatante chiamato Filogono. Così tu dirai a chiunque te ne dimanderà, che sei Filogono catanese, e che io, che Erostrato mi chiamo, tuo figliuolo sono; ed io per padre ti onorerò.

Dulipo.     Ah come sciocco sino adesso sono stato! pur ora comprendo il tuo disegno.

Erostrato.     E che te ne pare?


  1. Nelle antiche stampe, che abbiamo qui sospette d’errore: Egli è come io ti narro, puoi che ec.
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