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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Biografia di Paolo Costa.djvu{{padleft:17|3|0]]lettera de’ 17 giugno, inviata alla sorella, sono queste parole: “Il mio esilio è stato un vero trionfo, poichè, come dissi a nostra madre, sono stato onorato da tutta la Grecia in modo particolare.....[1]. Io ne ringrazio Iddio che ha voluto premiare la purità delle mie intenzioni, e le fatiche che ho durate negli studi. Ora mi sono messo in riposo, e penso soltanto a ricuperare la sanità, e le mie cure non sono inutili, perciòcchè..... l’appetito è ritornato, e coll’appetito le solite forze e il buon colore del volto, che era sparuto e magro. Questi cibi, quest’aria, la vista lieta di questi colli, la compagnia degli antichi amici hanno operato ciò che non poterono le medicine; e anche di questo ne ringrazio Iddio.”

Quando nel suo campestre ritiro, e quando nella città conduceva Paolo i suoi ultimi anni; e perchè quel suo ingegno, nè per la età nè pel malore che ’l cruciava di continuo, non erasi punto indebolito; anzi pareva pigliar forza e vigore; compose parecchi opuscoli, che tutti vennero in fama. Scrisse del mesmerismo, e l’ebbe per una vanissima superstizione. De’ moderni classici e romantici le buone e male qualità dimostrò. Ne’ colloquii con Aristarco confutò una opinione dell’ab. La Mennais; ed intorno a questa operetta così leggesi in una sua lettera al march. Antonio Cavalli, concittadino ed amico suo dolcissimo: “Io non scrivo per adulare alcuno: scrivo per la verità. Dica il mondo quello che vuole: la mia coscienza è pura, e le mie ragioni sono di tal peso, che saranno, quando che sia

  1. Intorno le onorevoli accoglienze fatte dai greci al nostro Costa mi piace di recare qui anche un brano della lettera ch’egli scrisse al suo illustre amico, il march. Luigi Biondi, a’ 23 giugno del 1832. “Durante la mia dimora in Corfù stimai cosa prudente l’astenermi dallo scrivere a voi ed agli altri amici di Roma; ma mi pensai che la contessa Sampieri vi avesse data notizia di me. Che se ciò fosse avvenuto, non sareste stato in pena per me: perciocchè avreste saputo con quanta ospitalità, con quanta cortesia io sia stato accolto dagl’Inglesi e dai Corciresi, e dagli altri isolani di Cefalonia e del Zante, che mi proferivano larghi premi per avermi professore nei loro licei. Probabilmente sarei rimaso in Corfù, dove il governo mi aveva proferta la cattedra di filosofia: ma una infermità, che da sei mesi mi affliggeva, mi costrinse a rivolgere le vele alla nostra Italia, dove appena giunto mi sono sentito a rinascere.... In Corfù ho stampata la mia opera ideologica col favore di quel governo, che ha pagato un terzo della spesa. ec.”
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