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110 Giovanni Boccacci

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  Sì ch’altro amor non possa più tradirvi.
  Questo desia et vuol l’anima trista,
  Perciò che cose grave più che morte
  L’ordisti[1] già incontro nel seguirvi.


LXXIV.

Cader postù in que’ legami, Amore,
  Ne’ quai tu n’ài già molti aviluppati;
  Rotte ti sien le braccia et ispuntati
  Gli artigli et l’ali spennate e ’l vigore
  Tolto, et la deità tua sia ’n horrore5
  A quei che nasceran et che son nati,
  Et sianti l’arco et gli strali spezzati,
  Et il tuo nome sia sempre dolore:
Bugiardo, traditore et disleale,
  Frodolente, assassin, ladro, scherano,10
  Crudel tyranno, spergiuro, homicida;
  Ché dopo il mio lungo servire invano[2]
  Mi proponesti[3] tal, ch’assai men vale:
  Caggia dal ciel saetta che t’occida[4].


  1. «Le apprestaste,» all’anima.
  2. Invano, perché di tanto servire avrebbe dovuto aspettarsi ben altro frutto che quello d’essere inaspettatamente posposto ad un nuovo amante.
  3. «Preponesti.»
  4. È un vivace ricantamento delle lodi d’Amore espresse in altre poesie (XX-XXII).
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