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120 | Giovanni Boccacci |
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Fuori dei corsi naturali et viri[1],
Per observar quel che di lui è dicto[2].
Se il movimento suo fusse raficto[3],5
La luna e ’l sole et gli altri suoi zafiri[4],
Dove convien che l’universo miri,
Darebbon passione al mondo afflicto.
L’umane genti son facte sì strecte,
Che di virtù et cortesia non cura,10
Et poco actende[5] quel che gli impromecte.
Offende il suo factore[6] et sua figura
Con gli altri bruti; et del mal che commette
Però l’ecterna pena lor matura.
Le stelle son di sì alto legnaggio,15
Che nostra colpa le fa fare omaggio[7].
- ↑ «Veri.»
- ↑ «Affinché si osservi ciò che di lui è prescritto da Dio».
- ↑ «Arrestato.»
- ↑ Gli altri corpi celesti.
- ↑ «Mantengono.» Il verbo è al singolare, benché sia plurale il soggetto; così pure impromecte di questo medesimo verso, cura del precedente, offende e commette dei successivi.
- ↑ Cfr. la n. 3 a p. 117.
- ↑ «Le stelle son di così nobile natura, che la nostra inferiorità morale ci costringe ad inchinarci ad esse.»
- ↑ ad un processo criminale intentatogli per un ferimento in rissa da lui perpetrato; ma avrebbe rimesso il piede in quella città nel 1348, benché il bando contro di lui fosse legalmente cassato solo nell’ottobre del 1350. In quest’intervallo Antonio andò certo a vagabondare per le corti italiane, e non è improbabile che vivesse qualche tempo in Romagna, conservandoci egli stesso in una sua celebre canzone il ricordo di una precedente dimora in Forlì. Questa potrebbe appunto cadere nel tempo a cui appartiene la presente tenzone.
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