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170 | Giovanni Boccacci |
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Che m’ànno il cor degli anni più di sette[1]
Passato sanza alcun contasto[2] avere,
Da lui[3] m’ingegnere’ quelle sapere5
Fabricar io, e[4] qual tempra le mette[5];
Po’ con alquante delle più elette
Vi metterei nel petto il mio piacere.
E ciò saria vedervi sospirare,
Gridar mercé sanza trovarla, s’io10
Non fussi prima di vendetta sazio.
Forse potresti[6] ancor, donna, apparare
L’animo altero fare umile e pio,
E di non far d’altrui giocondo istrazio.
Chi crederia già mai ch’esser potesse
Nel cuor d’una gran fiamma[7] il ghiaccio ascoso?
Chi crederebbe ch’è quel[8] poderoso,
- ↑ Supponendo provato che il son. sia autentico e inspirato dalla Fiammetta, per valutare quest’espressione cronologica dovremo cominciare il computo dal novembre-dicembre 1334, come s’è proposto per il son. XLVII (cfr. p. 83, n. 2); e, poiché anni più di sette fanno pensare più tosto ad otto o nove che a sette, si arriverebbe così alla fine dei 1342 o al 1343 o ai primi del 1344, al tempo cioè del presunto secondo viaggio del Boccacci a Napoli (cfr. p. 107, n.). In tal caso l’animo altero di cui al v. 13 sarebbe l’indifferenza ritrovata nella donna, ormai alienatasi dall’amante.
- ↑ «Contrasto.»
- ↑ Con l’aiuto dello specchio di cui al v. 1.
- ↑ Sottintendi: m’ingegnerei sapere.
- ↑ Amore sarà il soggetto di questo verbo, con un riferimento logico un po’ sforzato.
- ↑ «Potreste.»
- ↑ Scherza, con poco buon gusto, sul contrasto tra il ghiaccio, ossia l’indifferenza della donna, e il segnale fiamma, con un’insistenza che non può essere fortuita.
- ↑ Il ghiaccio.
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