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8 Giovanni Boccacci

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Ma quella donna cui Amore honora
  Più ch’altra per la sua somma virtute,
  Che tutte l’altre acresce e rinvigora[1],
Fu l’ultima chiamata, e per salute
  Dell’altre, quasi com’una guardiana,50
  Avanti gío per guidarle tute[2]:
E ’n compagnia del messo di Diana,
  Che più non ne chiamò; né nomo lei,
  Perché a suo nome laude più sovrana
Si converria, che dir qui non potrei;55
  Sen gí in parte ov’io le seguitai
  Con l’altre insieme, infin ch’io discernei
Ciò ch’elle fer, come apresso udirai.


Canto II.

In una valle non molto spatiosa[3]
  Di quatro montagnette circuita,
  Di verdi erbette e di fior copiosa,


  1. Questa donna, che il poeta non vuol nominare (vv. 53-55) né designare in guisa da permetterci di tentare una identificazione, è la sua amata, come si rileva dai chiari accenni dell’ultimo canto della Caccia. Non è a pensar che si tratti del più famoso amore, poiché è noto che nell’Ameto il Boccacci fa dire alla Fiammetta di essere ‘sempre’ stata chiamata così dal suo Caleone. La mente ricorre invece ad una delle donne ricordate nel medesimo episodio con i pseudonimi di Pampinea e di Abrotonia, ma, ignari come siamo del nome reale di costoro, non possiamo che limitarci al semplice sospetto.
  2. Tuto, «sicuro», è già in Dante, Purg., XVII, 108. Inaccettabile è la lezione della stampa Morpurgo-Zenatti, per guida di tute, con quello sconcio tute per «tutte».
  3. È da mettere sintatticamente in rapporto questo primo verso, il cui ufficio complementare s’appesantisce di apposizioni
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