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vii. inno ai patriarchi | 293 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Canti (Leopardi-Moroncini) I.djvu{{padleft:398|3|0]]E in proposito della vita pastorale de’ Patriarchi. considerata specialmente e descritta in quella di Abramo. Isacco, Giacobbe, si farà questa digressione o conversione lirica. Fu certo fu, e non è sogno, nè favola, nè invenzione di poeti, nè menzogna di storie o di tradizioni, un’età d’oro pel genere umano. Corse agli uomini un’[sic] aureo secolo, come aurea corre e correrà sempre l’età di tutti gli altri viventi, e di lutto il resto della natura. Non già che fiumi corressero mai di latte, nè che ec. V. la 4 egloga di Virgilio, e la chiusa del prim’atto dell’Aminta, e del quarto del Pastor fido. Ma i ignorarono le sventure che ignorate non sono tali ec. ec. E tanto è miser l’uim quant’ei si reputa. Sannazzaro.
Tale anche oggidì [fra l] nelle [c]Californie selve, e nelle rupi, e fra torrenti ec. vive una gente ignara del nome di civiltà, e restia (come osservano i viaggiatori) sopra qualunque altra a quella misera corruzione che noi chiamiamo coltura. Gente felice a cui le radici e l’erbe e gli animali raggiunti col corso, e domi non da altro che dal proprio braccio, son cibo, e l’acqua de’ torrenti bevanda, e tetto gli alberi e le spelonche contro le piogge e gli uragani e le tempeste, Dall’alto delle loro montagne contemplano liberamente senza nè desiderii nè timori la volta e l’ampiezza de’ cieli, e l’aperta campagna non ingombra di città nè di torri ec. Odono senza impedimento il vasto suono de fiumi, e l'eco delle valli, e il canto degli uccelli, liberi e scarichi e padroni della terra e dell’aria al par di loro, loro corpi sono robustissimi. Ignorano i morti, Funesta dote della civiltà. Veggono la morte (o piuttosto le morti), ma non la preveggono. La tempesta li turba per un momento la fuggono negli antri la calma che ritorna, li racconsola e rallegra. La gioventù è robusta e lieta la vecchiezza riposata e non dolorosa. L’occhio loro è allegro e vivace (lo notano espressamente i viaggiatori) non alberga fra loro nè tristezza nè noia. L’uniformità della vita loro non gli attedia: tante risorse ha la natura in se stessa, s’ella fosse ubbidita e segufta.
Perchè invidiamo noi loro la felicità di cui godono, che non hanno conquistata coi delitti, non mantengono con l’infelicità e