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ii. — Annotazioni
Non credere, lettor mio, che in queste annotazioni si contenga cosa di rilievo. Anzi, se tu sei di quelli ch’io desidero per lettori, fa’ conto che il libro sia finito; e lasciami qui solo co’ pedagoghi a sfoderar testi e citazioni, e menare a tondo la clava d’Ercole, cioè l’autoritá, per dare a vedere che anch’io cosí di passata ho letto qualche buono scrittore italiano, ho studiato tanto o quanto la lingua nella quale scrivo, e mi sono informato all’ingrosso delle sue condizioni. Vedi, caro lettore, che oggi in Italia, per quello che spetta alla lingua, pochissimi sanno scrivere, e moltissimi non lasciano che si scriva; né fra gli antichi o i moderni fu mai lingua nessuna civile né barbara cosí tribolata a un medesimo tempo dalla raritá di quelli che sanno, e dalla moltitudine e petulanza di quelli che, non sapendo niente, vogliono che la favella non si possa stendere piú lá di quel niente. Co’ quali, per questa volta e non piú, bisogna che tu mi dii licenza di fare alle pugna come s’usa in Inghilterra, e di chiarirli (sebbene, essendo uomo, non mi reputo immune dallo sbagliare) che non soglio scrivere affatto affatto come viene, e che in tutti i modi non sará loro cosí facile come si pensano, il mostrarmi caduto in errore.
CANZONE PRIMA
ALL’ITALIA.
- St. VI, v. 10. Vedi ingombrar de’ vinti[1]
- (v. 110) la fuga i carri e le tende cadute.
Cioè «trattenere», «contrastare», «impacciare», «impedire». Questo sentimento della voce «ingombrare» ha due testi nel Vocabolario della Crusca; ma, quando non ti paressero chiari, accompagnali con quest’altro esempio, ch’è del Petrarca[2]:
- ↑ «Ingombrar» si trova nella sola ediz. fiorentina del 1831: in quella stessa cui poneva questa nota (1824) e nelle altre si ha «intralciar» [Ed.].
- ↑ Trionfo d’Amore, capitolo 3, verso 22.