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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Canti (Leopardi - Donati).djvu{{padleft:187|3|0]]::::Quel si pensoso è Ulisse, affabil ombra,
- che la casta mogliera aspetta e prega;
- ma Circe amando gliel ritiene e ’ngombra.
Dietro a questo puoi notare il seguente, ch’è d’Angelo di Costanzo[1]: «Che quel chiaro splendor ch’offusca e ingombra, Quando vi mira, ogni piú acuto aspetto (cioè vista), D’un’alta nube la mia mente adombra». Ed altri molti ne troverai della medesima forma, leggendo i buoni scrittori; e vedrai come anche si dice «ingombro» nel significato d’«impedimento» o di «ostacolo»; e se la Crusca non s’accorse di questo particolare, o non fu da tanto di spiegarlo, tal sia di lei.
- St. VI, v. 12. E correr fra’ primieri
- (v. 113) pallido e scapigliato esso tiranno.
Del qual tiranno il nostro Simonide avanti a questo passo non ha fatto menzione alcuna. Il volgarizzatore antico dell’Epistola di Marco Tullio Cicerone a Quinto suo fratello intorno al proconsolato dell'Asia[2]: «Avvegnacch’io non dubitassi che questa epistola molti messi, ed eziandio essa fama, colla sua velocitá vincerebbono». Queste sono le primissime parole dell’epistola. Similmente lo Speroni[3] dice che «amor vince essa natura» volendo dir «fino alla natura».
- Ivi, v. 14. Ve’ come infusi e tinti
- (v. 114) del barbarico sangue.
«Infusi» qui vale «aspersi» o «bagnati». Il Casa[4]: «E ben conviene Or penitenzia e duol l’anima lave De’ color atri e del terrestre limo Ond’ella è per mia colpa infusa e grave». Sopra le quali parole i comentatori adducono quello che dice lo stesso Casa in altro luogo[5]: «Poco il mondo giá mai t’infuse o tinse, Trifon, nell’atro suo limo terreno». Ho anche un esempio simile a questi del Casa nell’Oreficeria di Benvenuto Cellini[6], ma non lo tocco, per rispetto d’una lordura che gli è appiccata e non va via.