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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Canti (Leopardi - Donati).djvu{{padleft:248|3|0]]Un’edizione critica è quella che riproduce il pensiero dell’autore nella sua forma definitiva: quella insomma che l’autore medesimo ha fatta (quando l’abbia fatta) delle cose sue. Il Leopardi ha preparato quella dei Canti; e non c’è da fare altro che attenersi a quella; anche quando si creda, come p. es. credo io, che le poesie xxxv-xli, e cioè l’Imitazione, lo Scherzo e i Frammenti o ricavati da composizioni giovanili o dalle versioni, sieno stati accodati al volume (che doveva finir con la Ginestra) per mere ragioni esterne e tipografiche.

Ma, se di queste «espressioni definitive» il poeta ne ha avuto piú d’una, può esser curioso rendersene conto e seguirle: si può insomma tener conto delle precedenti edizioni, ma a patto di non infastidire il lettore con richiami a piè di pagina. E questo ho voluto fare io, dando in appendice tutto il materiale diverso delle edizioni precedenti.

Nessun dubbio infine che tanto nell’ordinamento generale degli scritti, quanto nell’ordine particolare di ciascuno, massime quando si tratti d’un libro di poesie, ci si debba attenere assolutamente alla distribuzione voluta dall’autore. Scompigliarla, col pretesto che l’ordine cronologico rappresenta lo sviluppo dell’ingegno, vuol dire non comprendere le ragioni d’arte che lo hanno guidato. Ed è una curiosa sciocchezza mostrar di credere che lo svolgimento del pensiero e dell’animo e dell’arte di un poeta sia un fatto cosí grossolano e superficiale, da rivelarsi a prima vista, ed a qualunque lettore o studioso per semplice disposizione tipografica delle opere sue.


Coi Canti dunque incominciamo, come il Leopardi aveva incominciato: e ai Canti ho voluto aggiungere i Nuovi credenti, un capitolo, pare, degli ultimi suoi mesi, ch’egli però non poteva pensare di pubblicare nell’edizione napoletana; e che non risulta volesse inserir neppure nella parigina; o ne fosse sconsigliato dal Ranieri, o sentisse egli medesimo l’inopportunitá di stampare quei versi fin che viveva a Napoli.

Li ho riprodotti per cortese concessione dei successori Lemonnier dal volume Scritti vari dalle carte napoletane (1904), seguendo il testo dato dalla commissione governativa; e li ho posti, fuori dalla numerazione dei Canti, in fine del libro, come una ultima dedicatoria al Ranieri, e quasi una difesa della sua dottrina contro quelli che il Giusti, press’a poco in quello stesso tempo, chiamava «riunti cristianelli rifritture d’atei».

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