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90 | capitolo iv. |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Chiarini - Vita di Giacomo Leopardi.djvu{{padleft:118|3|0]]Egli era in un momento di crisi terribile: si sfogava con l’amico, ma probabilmente non gli diceva tutto. Egli aveva anticipato di quattro o cinque anni l’età dello sviluppo; era già uomo quando gli altri sono ancora bambini. Fino dall’anno innanzi si era svegliato in lui il bisogno di amare, il desiderio di godere della contemplazione della bellezza femminile; e cotesto bisogno non trovava in Recanati modo di sodisfarsi. «Non credo che le Grazie, scriveva al Giordani, sieno state qui mai, neppure di sfuggita all’osteria.»[1] Non aveva modo di parlare con donne avvenenti, anzi nemmeno di vederle; doveva contentarsi di gettare qualche occhiata dalla finestra alla figliuola del cocchiere, o a qualche altra ragazza del popolo che passasse per la strada o che incontrasse quando usciva a passeggio. Probabilmente aveva già risoluto di abbandonare la carriera ecclesiastica, e non aveva ancora, per rispetto alla famiglia, avuto il coraggio di buttar via il collare. Mille sentimenti e desiderii e pensieri diversi lo agitavano, che gli facevano di tratto in tratto balenare agli occhi della mente un’idea, una speranza; l’idea, la speranza di mutar vita. Gli pareva che ciò sarebbe stato la medicina di tutti i suoi mali. Ma quell’ idea, quella speranza, appena balenata, dispariva, e lo lasciava nel buio. «Iddio ha fatto tanto bello questo nostro mondo, tante cose belle ci hanno fatto gli uomini, tanti uomini ci sono, che chi non ò insensato arde di vedere di conoscere; la terra ò piena di meraviglio; ed io di diciotto anni potrò diro: In questa caverna vivrò, e morrò dove son nato?»[2] Questo grido, che gli ruppe dal cuore nelle prime confidenze della sua amicizia col Giordani, chi sa quante volte lo avevano udito prima i suoi compagni di cattività Carlo e Paolina!