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112 | capitolo v. |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Chiarini - Vita di Giacomo Leopardi.djvu{{padleft:140|3|0]]ahi ch’io non lo credo ec, ohimè tanta beltà diverrà colpevole e trista per lo scellerato mondo mentre ora nella giovinezza è così candida ec. Oh padre padre, (a Dio) salvala ec, ch’è tua fattura ec. Ahimè tu non ti euri di me. né sai niente, né io te ne dirò mai niente. Oh se vedessi ec, che core è il mio. È un core raro, o mia cara, ardente ec. Non temer di me. Oh se sapessi come ti rispetto ec Dimmi se sei virtuosa, benefica, compassionevole, innocente. Ah se sei lasciami ch’io mi ti prostri, santa cosa, a baciarti le punte de’ calzari. Esortazione alla virtù per cagiono della sua bellezza.»
Tutte quelle figure di donne che passavano fugaci dinanzi al poeta per le vie di Recanati, o ch’egli incontrava in casa sua o altrove, imprimendosi per gli occhi nella sua mente, perdevano la loro volgare realtà, e trasformate in fantasmi gentili, gli ricomparivano davanti lungo il giorno nei silenzi della biblioteca, rompevano di notte le tenebre della sua cameretta. In quei fantasmi egli ammirava e adorava poeticamente la bellezza e la gioventù femminile, che idoleggiò e idealizzò in questo gentile ritratto: «Una giovane dai sedici ai diciotto anni ha nel suo viso, nei suoi moti, nella sua voce un non so che di divino che niente può agguagliare.... Quel fiore purissimo, intatto, freschissimo di gioventù; quella speranza vergine, incolume, che si legge nel viso e negli atti; quell’aria d’innocenza e d’ignoranza completa del male, delle sventure, de’ patimenti; fanno in voi un’impressione cosi viva, così profonda, così ineffabile, che voi non vi saziate di guardare quel viso; ed io non conosco cosa che più di questa sia capace di elevarci l’anima, di trasportarci in un altro mondo, di darci un’idea di angoli, di paradiso, di divinità, di felicità.» [1]
- ↑ Appendice all’Epistolario e agli scritti giovanili di Giacomo Leopardi; Firenze, Barbèra, 1878, pag. 222.