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116 | capitolo vi. |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Chiarini - Vita di Giacomo Leopardi.djvu{{padleft:144|3|0]]all’amico. Pare che il biglietto fosse dall’uomo che lo portava consegnato a Monaldo, il quale lo aprì, e andò lui dal Giordani, intanto che Giacomo, saputo anch’egli che l’amico era arrivato, si recò ad incontrarlo. Era la prima volta che usciva di casa solo, e ne fu rimproverato dal padre.[1]
Il Giordani non si trattenne a Recanati che cinque giorni, nei quali fu ospite della famiglia Leopardi. Monaldo lasciò i figliuoli conversare liberamente con lui; non credendo pericolosa per essi la compagnia del nuovo amico. Del Giordani Monaldo non sapeva altro se non che era uno scrittore famoso: se lo avesse sospettato d’incredulità e di liberalismo, non solo non avrebbe lasciato che i suoi figliuoli lo avvicinassero, ma non lo avrebbe ricevuto in casa.
Quali furono i discorsi dei due amici nelle loro lunghe conversazioni? E certo che il Giordani non avrà parlato a Giacomo di tridui nò di novene; ma è egualmente certo che nò allora nò poi non gli disse una parola in materia di religione. Lo afferma il Giordani stesso in una lettera all’abate G. F. Baruffi del 24 febbraio 1841 e lo conferma in altra al conte Giuseppe Ricciardi del 28 aprile 1845.[2]
Chi conosce le relazioni del Giordani col Leopardi s’immagina facilmente che gli argomenti dei colloqui fra i due amici saranno stati in particolar modo questi tre: gli studi; il desiderio di Giacomo d’uscire di Recanati; l’Italia. Sì, anche l’Italia, quella gloriosa Italia, la cui immagine aveva toccato il cuore scaldato la testa del giovinetto Leopardi fino dal