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le due prime canzoni 117

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Chiarini - Vita di Giacomo Leopardi.djvu{{padleft:145|3|0]]marzo 1817, quand’egli scrivendo per la seconda volta all’amico gli diceva: «Mia patria è l’Italia, per la quale ardo di amore, ringraziando il cielo d’avermi fatto italiano.»[1]

Il Giordani era un po’ pessimista anche lui; ma, politicamente e moralmente, quei tempi non erano dei migliori. Se qualche cosa di buono e di generoso fermentava negli intelletti e nei cuori, c’era nella grande maggioranza molta scoria di egoismi e di bassi appetiti. Naturalmente il Giordani e il Leopardi vedevano del loro tempo più il male che il bene; e il loro patriotismo non sapeva manifestarsi meglio che rompendo in violente apostrofi contro la bassezza dell’Italia presente, ed inneggiando alla gloria e alla virtù dell’antica. Giacomo, che appunto allora meditava di far qualche cosa di grande, dovea sentirsi tutto acceso d’entusiasmo alle parole eloquenti con le quali il Giordani, incoraggiando le sue generose aspirazioni, gli parlava del gran bene e dell’onore che farebbero all’Italia i suoi scritti.

Il tema più pungente dei loro discorsi dovette essere il desiderio di Giacomo di uscire da Recanati. Il Giordani, cercando d’accordo con lui e con Carlo il modo di sodisfare questo ch’era poi il desiderio di tutti due i fratelli, formò il disegno di farli andare a Roma; un disegno combinato in modo, che Monaldo, speravano, non avrebbe potuto farvi una opposizione invincibile. Intanto Monaldo concesse al Giordani di menare per un giorno con sé Giacomo a Macerata.

Quella gita fu un avvenimento, che poi il conte rimpianse, e del quale si rimproverò acerbamente; come si rimproverò della libertà, lasciata ai figliuoli di conversare col Giordani. Sugli effetti della andata dello scrittore piacentino a Recanati e della sua gita con Giacomo a Macerata,

  1. Epistolario, vol. I, pag. 42.
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