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lo «zibaldone» e gli «appunti ec.» | 133 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Chiarini - Vita di Giacomo Leopardi.djvu{{padleft:167|3|0]] Ora è cosa evidente che in tutto il nostro globo la cosa più nobile e che è padrona del resto, anzi quello a cui servi/io pare a mille segni incontrastabili che sia fatto, non dico il mondo ma certo la terra, è r uomo. E quindi è contro le leggi costanti che possiamo notare osservate dalla natura che l’essere principale non possa godere la perfezione del suo essere che è la felicità, senza la quale anzi è grave l’istesso essere cioè esistere, mentre i subalterni e senza paragone di minor pregio possono tutto ciò, e lo conseguono.»[1]
In questo pensiero l’autore cita in favore della sua tesi sulla immortalità dell’anima uraanii il fatto che gli uomini si credono padroni del mondo, e che il mondo e tutti gli esseri e le cose che in esso esistono siano state create per loro. Non passerà molto tempo, ed egli deriderà spietatamente, in versi ed in prosa, come un trovato della sciocca superbia umana, questa opinione, che ora gli sembra una verità.
L’uomo moderno non ha ancora, come si vede, abbandonato interamente le idee dell’antico; ed il suo pessimismo è subordinato alla religione. 11 pessimismo gli suggerisce che, la vita essendo infelice, meglio sarebbe non vivere; ma questa idea ripugna al suo sentimento religioso; ed egli scrive: «Può mai stare che il non esistere sia assolutamente meglio ad un essere che l’esistere? Ora così accadrebbe all’uomo senza una vita futura.»[2] A questo modo cerca nella illusione religiosa di una vita oltremondana la speranza di quella felicità che sa di non poter trovare nel mondo. Sarà pur tristo il giorno, ahimè non lontano, nel quale, svanita affatto quella illusione, affermerà risoluto che il non esistere è assolutamente meglio che l’esistere.