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la fanciullezza e l'adolescenza 29

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Chiarini - Vita di Giacomo Leopardi.djvu{{padleft:59|3|0]]dei nipoti, il destino di Giacomo sarebbe stato diverso: egli non avrebbe disertato sì spesso la casa paterna, per non più ritornarvi.»[1]

La Teia loda la contessa Adelaide per il suo contegno riservato ed austero, pur ammettendo cbe dalla esagerazione di esso potesse derivare l’apparente difetto di tenerezza. Quel contegno, secondo la Teia, tanto la contessa quanto il marito, ma la contessa in particolar modo, se lo erano imposto per riguardo alla educazione dei figliuoli. I genitori, scrive essa, erano «sempre intenti a vigilare sulle impressioni che si potevano destare in quelle piccole anime; e tutte le loro azioni e le parole erano regolate in guisa da non provocare in loro nessuna sinistra interpretazione. Essi non udirono mai dalla loro bocca una parola risentita, impaziente, collerica. Furono licenziate delle cameriere e dei domestici, ma non mai rimproverati in loro presenza.»[2]

Che la contessa fosse sempre calma e dignitosa, e che non si sgridassero mai i servitori in presenza dei figli, sono due fatti, il primo dei quali è smentito da Monaldo, il secondo da Giacomo. Riferii nel primo capitolo che Monaldo scrisse nella Autografia: «Mia moglie, se io le tacessi la causa di un sospiro, mi leverebbe le lettere dalle tasche, mi farebbe un processo, metterebbe a rumore tutto il paese.» E Giacomo, in quelli Appunti e ricordi, che ho più volte citati, dice che «sentendo fare qualche rimprovero o duro comando alla servitù, fuggiva.»

Vi sono nei detti Appunti altri accenni alla sua fanciullezza, che meritano di essere riferiti. Di cinque sei anni ebbe una malattia mortale, di cui non mi ricordo che sia stato fatto cenno altrove: la prima volta che da ragazzo andò al teatro, la musica gli

  1. Contessa Teresa Teia Leopardi, Note cit., pag. 28.
  2. Idem.; ibid., pag. 26.
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