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34 | capitolo ii. |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Chiarini - Vita di Giacomo Leopardi.djvu{{padleft:64|3|0]]Pover uomo! Quest’ultima cosa se la credeva lui, ma ingannandosi oh quanto! E i germi di quello sconvolgimento fatale della ragione umana, contro il quale si studiava con tanta cura di premunire i figliuoli stavano un po’ da per tutto, stavano sopra tutto nei libri che l’incauto padre aveva raccolti nella sua biblioteca, stavano nella mente di Giacomo, dove madre natura li aveva posti senza ch’egli, pover uomo, lo sospettasse.
La casa del conte Monaldo era, rispetto agli studi dei figliuoli. Liceo insieme ed Accademia: tutto vi era regolato con perfetto ordine; i ragazzi avevano a quelle date ore le loro lezioni, a quelle date ore studiavano, e in certi determinati tempi davano saggio del loro profitto in presenza di parenti e d’amici. Per alcune di queste accademie più solenni si stampavano fino i programmi, composti dal prete Sanchini. Giacomo era, s’ intende, l’eroe di queste solennità; e Carlo ci fa sapere che scriveva di nascosto i componimenti anche per lui e per la sorella, e suggeriva loro (con segni o movimenti intesi delle dita) ciò che dovevano dire.[1]
L’Avoli stampa, nell’Appendice all’Autobiografia di Monaldo, il programma di una di cotesto accademie, tenuta il 20 luglio del 1812, che probabilmente fu l’ultima la più solenne. E probabilmente poco dopo di essa il Sanchini usci di casa Leopardi.
Il programma è diviso in quattro parti, ciascuna delle quali si compone di trenta numeri: la prima è scritta in latino, o comprende l’ontologia, la psicologia, la teologia naturale, la fisica generale o la fisica particolare; la seconda tratta della filosofia morale, la terza della chimica, la quarta della storia naturale: queste tre sono scritte in italiano. Nella accademia si esponevano soltanto i due fratelli Giacomo e Carlo
- ↑ Epistolario, vol. III, pag. 425.