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la fanciullezza e l'adolescenza 43

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Chiarini - Vita di Giacomo Leopardi.djvu{{padleft:73|3|0]]nipote, s’interessava grandemente agli studi e ai progressi di lui, de’quali Monaldo, che andava orgoglioso di tal figliuolo, gli dava frequenti ragguagli.

Questi ragguagli fecero intravedere allo zio i pericoli ai quali la soverchia e non mai interrotta applicazione allo studio esponeva il nipote: e ne scrisse il 15 luglio 1813 a Monaldo per metterlo sull’avviso.

«Voi mi dite che il vostro impareggiabile Giacomo studia ora senza maestro la lingua greca, di cui spera di farsi padrone in un anno, e che in seguito vuol studiare l’ ebraica. Io mi rallegro con voi, con lui, col sacerdozio cui sembra sin da ora chiamato; ma permettetemi che io vi esterni la mia apprensione per la di lui salute. Il troppo assiduo studio è stato sempre fatale alla durata della vita, e specialmente quando si incomincia nell’adolescenza.... Se Giacomo interrompesse la sua logorante applicazione coll’esercizio delle arti cavalleresche, cesserebbero i miei timori. Ma quando veggo e so che il lungo e profondo studio non è interrotto che da qualche sedentaria applicazione di cerimonie ecclesiastiche, io mi sgomento col pensiero che voi avete un figlio ed io un nipote di animo forte e di corpo gracile e poco durevole. Gli antichi ed oggi i moderni ci davano l’esempio di non trascurare le forze del corpo per quelle dello spirito, ma di farle progredire di passo eguale, altrimenti le infermità fisiche opprimeranno la parte migliore dell’uomo, e converrà pur troppo applicare a tal caso il proverbio: Vale più un cane vivo che un leone morto[1]

Con questa medesima lettera l’Antici esortava il cognato a mandare Giacomo a Roma presso di lui, dove, pur distraendosi, avrebbe avuto più largo campo ai suoi studi; e con altra del mese appresso ripeteva la stessa preghiera e le stesse raccomandazioni: «Scuo-

  1. Appendice all’Autobiografia di Monaldo Leopardi; pag. 278 e 279, in nota.
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