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la fanciullezza e l'adolescenza 47

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Chiarini - Vita di Giacomo Leopardi.djvu{{padleft:75|3|0]]lunga assenza da sua casa, dove non gli manca un comodo, e può dare sfogo alla sua passione di studiare. Assicuratevi che la felicità di Giacomo è tutta nello studio, e qui può attenderci meglio che altrove.»[1] Non c’è bisogno di esser severi nel giudicare la condotta di Monaldo in questo caso; si può anzi spingere la indulgenza fino all’estremo limite ed attribuire veramente all’amor paterno la sua cocciutaggine, ma conviene pur dire che quell’amore paterno offuscava al padre il lume della ragione. — Se fosse proprio necessario mi rassegnerei a mandarlo. — Che cosa aspettava ad accorgersi della necessità? Che il figliuolo gli morisse sotto gli occhi — Qui può dare sfogo alla sua passione di studiare meglio che altrove. — Ma non era appunto lo studio ciò che lo ammazzava?

Gli uomini pieni di contradizioni sono anche spesso pieni di incertezze, e ripongono il sommo della prudenza nel temporeggiare. — Lasciamo al tempo suggerire le risoluzioni opportune. — E il tempo fece inesorabilmente l’ufficio suo di distruttore, senza suggerir niente a chi non voleva suggerimenti. Il resultato fu che, Giacomo avendo seguitato per altri cinque anni quel suo studio matto e disperatissimo, arrivò ai venti anni con la mente piena di dottrina e col corpo miserabilmente disfatto; acquistò cioè la coscienza della sua grandezza, ed insieme quella della sua perpetua e irreparabile miseria.

E pure qualche anno innanzi, nel 1814 e nel 1815, egli si era sentito felice, aveva anzi provato quella che chiama la sua somma felicità. Poco innanzi al 1820 scriveva nei suoi Pensieri:

«La somma felicità possibile dell’uomo in questo mondo, ò quando egli vive quietamente nel suo stato con una speranza riposata e certa di un avvenire

  1. Appendice cit., pag. 280, 281.
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