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INFERNO. — Canto I. Verso 22 a 36

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E come quei, che con lena affannata,
  Uscito fuor del pelago a la riva,
  Si volge a l’acqua perigliosa, e guata,
Così l’animo mio, che ancor fuggiva,25
  Si volse a retro a rimirar lo passo,
  Che non lasciò già mai persona viva.
Poi ch’e’ posato[1] un poco il corpo lasso,
  Ripresi via per la piaggia diserta,
  Sì che il piè fermo sempre era il più basso; 30
Ed ecco, quasi al cominciar de l’erta,
  Una lonza leggiera e presta molto,
  Che di pel maculato era coverta;
E non mi si partìa dinanzi al volto;
  Anzi impediva tanto il mio cammino,35
  Ch’io fui per ritornar più volte volto.


  1. V. 28. Non accetto né riposato, né l’ei per ebbi di Witte; il Commento ha si posò. Col Cod. Altoviti col Laur. XL, 7, col BU. BS e BG è benissimo quello che tengo.




V. 22. Qui dà esempio che sicome colui ch’è passato per pericoloso mare ed è giunto salvo alla riva, si volge per vedere quello pericolo che ha passato, così lui ch’era giunto alla fine di quella selva, cioè della vita viziosa, sì si ripensava in cuore a quanto pericolo era stato, e che se fosse morto in tale stato essere [1], come era perduto; e soggiunge che tal passo non lasciò mai persona viva.

28. Mostra come si posò, cioè che ’l cessò di non operare più vizii: e mostra com’ebbe tentazione di tre vizii principali, cioè: Vanagloria, Superbia e Avarizia. E figura questi per tre animali: Cioè una Lonza: questo animale è molto leggiero e di pelo maculato a modo di leopardo. Or mette ello questa leggerezza a somiglianza che la vanagloria leggiermente sale in lo cuore umano[2], e per la varietade mette come per varie cagioni similmente s’accende in lo cuore a chi per bellezza, a chi per gentilezza, a chi per fortezza, a chi per scienzia e a chi per ricchezza etc. Superbia figura in Leone lo quale per sua fortezza signoreggia li altri animali. Or è così che sempre colui che si sente forte vuole superchiare e dominare li altri. E secondo ragione naturale li forti non denno signoreggiare li altri, ma li savi denno essere li signori sì come pruova Aristotile in la Politica che li savi sono e denno essere signori e liberi, e li altri denno essere sudditi e servi. Avarizia figura la Lupa in per quello che siccome la lupa è devoratrice degli altri

  1. Stato ed essere vizioso che l’anima sua era perduta e dannata. R.
  2. quore. Cosi scrissero molti antichi avvegna che parea loro che innanzi la uo non potesse convenire che il q siccome in quivi, quanto. Alcun moderno, il Muzzi Luigi capitanante, ritentò la scrizione ma non fu seguito. Non tutte avviseremo le singolarità: ma bensì serberemo il testo.
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