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INFERNO. — Canto II. Verso 76 a 97 | 123 |
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O donna di virtù, sola, per cui
L’umana spezie eccede ogni contento
Da quel ciel che ha minori i cerchi sui:
Tanto m’ aggrada il tuo comandamento,
Che l’ubbidir, se già fosse, m’è tardi; 80
Più non t’è uo’ d’aprirmi il tuo talento.[1]
Ma dimmi la cagion, che non ti guardi
Dello scender quaggiuso in questo centro
Dall’ampio loco, ove tornar tu ardi.
Da che tu vuoi saper cotanto addentro, 85
Dirotti brevemente, mi rispose ,
Perch’io non temo di venir qua entro.
Temer si dee di quelle sole cose[2]
Ch’hanno potenza di fare altrui male:
Dell’ altre no, che non son paurose. 90
Io son fatta da Dio, sua mercè, tale,
Che la vostra miseria non mi tange,
Nè fiamma d’esto incendio non m’assale.
Donna è gentil nel ciel, che si compiange
Di questo impedimento, ov’ io ti mando, 95
Sì che duro giudicio lassù frange;
Questa chiese Lucìa in suo dimando,
- ↑ V. 81. Rimessa la lezione rara, ma giusta col R. 1005, e col Laur. XL., 7; sebbene il commento pel manco d’un che non s’accordi, e dica il contrario.
- ↑ V. 88. Correggo col Cod. R.
V. 79. Cioè che era disposto a ciò che bisognava, e che non li facea più mestieri avrirli lo suo volere.
82. Qui si solve uno dubio: con ciò sia cosa che la vista del vedere lo demonio accresca pena a quelli che lo vedono: e dubitazioni, se ’l vedere che fanno que’ del paradiso quelli che sono in inferno li fa alcuna lesione. Alla quale risponde Beatrice che quella visione non fa alcuno duolo a quelli che sono in paradiso; e questo aviene perchè la divina grazia li fa tali perchè non possono ricevere alcuno duolo. E la cagione è perchè non sono sotto loro protezione e signoria; che a tutti quelli che sono sotto la protezione e signorìa del demonio, fa pena la sua vista; e quelli che sono nel cielo glorificati non puonno nuocere perchè non sono sotto la signorìa del demonio. E però dice: io non temo del venir qui dentro,[1] perchè queste cose non mi possono far male, perocchè temer si dee di quelle c’hanno tale possanza, dell’altre, no.
97. Ancor dice Beatrice a Virgilio la cagione che la mosse del luogo dov’ ella era, cioè Lucìa, la quale disse: mo abisogna Dante
- ↑ Ecco una diversità dantesca avuta dal Lana.