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INFERNO. — Canto IX. Verso 88 a 95

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  Ch’io stessi cheto, ed inchinassi ad esso.
Ahi quanto mi parea pien di disdegno!
  Venne alla porta, e con una verghetta [1]
  L’aperse , che non v’ebbe alcun ritegno. 90
O cacciati del ciel, gente dispetta,
  Cominciò egli in su l’orribil soglia,
  Ond’esta oltracotanza in voi s’alletta?
Perchè ricalcitrate a quella voglia,
  A cui non puote il fin mai esser mozzo,95


  1. V. 89. Correggo Venne dove altri scrive Giunse. Me ne avvisan giusto anche il Cassio, e la Vind. accettata dal Witte, il Landiano. e i Cod. bolognesi BS. BV. Non sapendo Dante a che l’angelo fosse diretto non potea dir giunse; ben disse Venne poiché ’l vide alla porta fermarsi.




V. 89. Questa verghetta è possanza di Dio alla quale non puote contrastare nulla possanza di creature alcuna.

91. Qui per farli più stupore li ricorda suo danno; e mostra come ogni creatura gli ha a dispetto e cacciali, che sol quello luogo che più è di lungi al cielo li ritiene, e quello è dispettoso e rinchiuso e opposito tutto alla lor natura.

92. Cioè la porta infernale, la quale per la eternitade delle pene e delli martiri si è orribile ad ogni intelletto.

94 Cioè : è duro recalcitrare contra lo stimolo che tanto più si dannifica lo recalcitratore, quasi a dire: voi non potete contra Dio, lo quale è sempiterno, e non può essere sua eternitade mozza; perchè dunque vi opponete voi contra, adducendo per argomento che voi sapete che voi avesti già più larga possanza contra l’umana generazione: e questo fu anziché ’l figliuol di Dio fusse crocifisso; posciachè tal morte fu, vi fue accresciuta la pena , che d’allora inanzi non avete possanza sì grande da tentare li uomini per li sacramenti della Chiesa e per la fede cattolica ch’elli hanno. E nota qui che al demonio è pena quando non può avere possanza di tentare e di far perdere l’ anima umana. 97. Qui poiché ha detta la condizione de’ demonii secondo la scrittura cristiana, introduce una fabula poetica, la quale è che Teseo figliuol del duca d’Atene, lo quale uccise lo Minotauro in Creti, per consiglio della sorore del detto Minotauro, come apparirà nel XII capitolo, e Proserpina figliuola di Cerere, e Optito [1] si funno incantati e andonno allo inferno, e volendo entrar dentro dalla cittade di Dite, li demoni li lo volseno vietare. Questi non aspettavano grazia né poder d’altri, sì miseno a farla alle mani con loro; alla fine questi tre vinseno la pugna. Vero è che nella messeda Cerbero demonio fu molto aruffato e fulli schiantata tutta la barba ch’ancora dall’un de’ lati l’avea mozza e schiantata. Or lo detto messo a più dolor di loro li ricordò tal zambello.

  1. Laur. XI. 36 ha cho pito.
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