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230 | INFERNO. — Canto XI. Verso 87 a 97 |
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Che su di fuor sostengon penitenza,
Tu vedrai ben perchè da questi felli
Sien dipartiti, e perchè men crucciata
La divina vendetta gli martelli.[1]90
Sol che sani ogni vista turbata,
Tu mi contenti sì, quando tu solvi,
Che, non men che saver, dubbiar m’aggrata.
Ancora un poco indietro ti rivolvi
Diss’io, là dove di’ che usura offende 95
La divina bontade, e il groppo svolvi.
Filosofia , mi disse , a chi la intende,
- ↑ V 90. Rigetto giustizia accettata da molti, e accetto vendetta. Quel crucciata vuol questa, non quella. La giustizia è fredda e serena; il ciuccio stimola una riazione. La Vind., il R, il Land, i tre universitaiii bolognesi, BP, Bg. Cavr, il Laur. XL, 7, i tre parmigiani, il Cassinese, ed altri Cod. sembrano aver seguitata con senno questa correzione sicuramente dantesca.
V. 87. Quasi a dire: l’incontinenti furon messi di fuori perchè meno
offendeno a Dio.
88. Quasi a dire: questi maliziosi e bestiali sono più felli; e però dentro sono posti.
91. Segue lo poema lodando tal sentenzia ed assoluzione.
94. Or qui fa l’altra questione, perchè son messi li usurali cosi bassi, in per quello che nel loro peccato par pur ell’ elli offendano in lo ben del prossimo.
97. Qui risponde alla questione, e dice che in filosofia naturale s’hae ch’ell’ è da venire a un principio, lo quale è cagione d’ogni naturale cosa, perchè non è processo in infinito in le cagioni; e questo principio colla sua arte, cioè ordine, è lo corso e ’l processo naturale, e questo è detto natura. Or avemo che questo principio colla sua parte dispone ed ordina tutto: questo non può essere altro che Dio, e però dice: dal divino intelletto, e da la sua arte. Or vuol Dante qui mostrare introducendo Virgilio per absolvidore di questa questione, che la nostra arte è aitata, e assimigliasi quanto puote alla natura: si che ognuii fiata che la nostra arte s’assomigli al corso e processo naturale, va ragionevilmente. Or che la nostra arte s’assomigli quanto può alla natura, aduce per autorità la Fisica del Filosofo; non dopo molte carte questo intende nel secondo libro là dove dice: ars imitatior naturam in quantum potest. Facendo poscia comparazione della nostra arte a quella di Dio, che, com’è ditto dall’arte di Dio è la natura; dalla natura è la nostra arte: sichè la nostra arte è nepote dell’arte di Dio. Conclude adunque questa ragione, che quando l’arte nostra intende ad altro corso che al naturale, allora offende a Dio e al suo ordine; natural cosa non è che uno denaio faccia un altro denaio, come vuol che faccia l’usurieri, e però offende a Dio; che se lo investisse in una altra cosa, come in bestiame, naturale è che elli