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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|De Amicis - Marocco.djvu{{padleft:216|3|0]] un figliuolo di otto anni rende poco, uno di dodici anni assai di più, uno di sedici molto. Ogni ladro ha il suo genere proprio: c’è il ladro di biade, il ladro di bestie bovine, il ladro di cavalli, il ladro di mercato, il ladro di duar[1], il ladro di strada. Ci sono persino i ladri che riscuotono un’imposta fissa da tutte le donne che fanno derrata di sè, non rare nemmeno fra quelle tribù vagabonde. Per le strade, assaltano particolarmente gli Ebrei, ai quali è proibito di portar armi. Ma il latrocinio più comune è quello a danno dei duar. In questo sono artisti insuperabili, non solo fra i Beni-Hassen, ma in tutto il Marocco. Vanno a rubare a cavallo, e la grand’arte consiste più nella rapidità che nell’accortezza, più nel non lasciarsi raggiungere che nel non lasciarsi vedere. Passano, afferrano e dispaiono, senza dar tempo alla gente di riconoscerli. Son furti a volo, fulminei, giochi di prestidigitazione equestre. Rubano pure a piedi e anche in questo son maestri. S’introducono nei duar, nudi, perchè i cani non abbaiano agli uomini nudi; insaponati da capo a piedi, per sguisciare dalle mani di chi li afferri; con un fascio di fronde tra le braccia, perchè i cavalli, pigliandoli per alberi, non si spaventino. I cavalli sono

  1. Si chiama duar un accampamento d’arabi.
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