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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Deledda - Cenere, Milano, 1929.djvu{{padleft:140|3|0]]norme scoglio cerulo di monte Albo diventava in color di ciclamino; Anania si fermò su una roccia, guardò l’immensa chiostra azzurra delle montagne lontane battute dal riflesso delicato dell’aurora, e ridiventò pensieroso.

Addio! Domani egli sarebbe al di là delle montagne, e Margherita penserebbe invano all’ignoto ranuncolo che l’amava e che era lui.

Ed ecco, una cinzia cantò nel suo nido selvaggio, nel cuore d’un elce, e nella sua nota tremolò tutta la poesia del luogo solitario; Anania ricordò allora il canto di un altro uccellino entro l’umido fogliame d’un castagno, in una lontana mattina d’autunno, lassù, lassù, in una di quelle montagne dell’orizzonte, e rivide un bimbo che scendeva lieto la china, ignaro del proprio triste destino.

— Anche adesso, — pensò rattristandosi, — anche adesso sono lieto di partire, e chissà invece che cosa mi aspetta!



Rientrò a casa pallido e triste.

— Ma dove sei stato, galanu meu?[1] Perchè sei uscito prima dell’alba? — chiese zia Tatàna.

— Datemi il caffè! — diss’egli, aspro.

— Ecco il caffè, ma che cosa hai, cuoricino amato? Sei pallido; rimettiti, riprendi colore

  1. Bello mio.
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