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lasciare o prendere? 191

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Deledda - Chiaroscuro.djvu{{padleft:197|3|0]] vato apposta per impedire al padre di accettare l’eredità, metà dei compaesani si riversò nella casa dove zio Pera agonizzava; e tutti pretendevano di esser suoi parenti.

Ma don Giame li cacciò via come mosche, un po’ burlando, un po’ minacciando, un po’ ripetendo la vecchia canzone:

In tempu de latte
Nè amicu nè frate!
In tempus de ficu
Nè frate nè amicu!
[1]

Giuseppe fremeva, ma ad un tratto tutto intorno ritornò calmo e silenzioso. Zio Pera era morto, e don Giame, che da gran signore qual era stato ai suoi tempi lo aveva fatto accompagnare da tutti i preti del paese e con una bella bara foderata di velluto, non parlava affatto dell’eredità. E non dimostrava una tristezza falsa e fuori di luogo.

— Il valentuomo è morto contento: perchè dobbiamo piangerlo noi? Il Natale lo festeggeremo lo stesso.

Ma Giuseppe pensava che per lui non esistevan più feste: la vita, per lui, era tutta una quaresima. La morte del vecchio lo aveva però colpito profondamente. Così si muore, pensava, dopo il bene e dopo il male, dopo una vita di libertà o di prigionia; tutto

  1. In tempo di latte, — nè amico nè fratello. — In tempo di fichi, — nè fratello nè amico. Vale a dire in tempo di fortuna.
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