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244 | la festa del cristo |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Deledda - Chiaroscuro.djvu{{padleft:250|3|0]] colo per portarsi via la donna desiderata: ma un freno misterioso ratteneva anche lui, e le parole del vecchio prete lo ferivano come sproni:
— Tu, sta indietro. Va in ora mala.
Egli aveva sempre avuto paura del padrone di sua madre (coi libri sacri i preti possono scomunicar la gente), ma lo venerava anche, e vedendolo andare avanti, avanti, curvo sul cavallo nero, avanti avanti per lo stradone bianco che pareva salisse fino al cielo, provava uno struggimento infantile.
— Nonno,[1] — diceva fra sè, — questa volta l’ho fatta bella.
Sostarono prima d’arrivare a Nuoro, per mangiare e per abbeverare i cavalli. Era quasi mezzogiorno e il sole pallido riscaldava la pianura dove i germogli della vite sembravano fiori rosei e giallini. Tutto era azzurro e verde, con un po’ d’oro e viola qua e là, — ranuncoli e puleggi, — e tutto il mondo pareva composto di prati colorati e di monti ceruli; — tanto che a prete Filìa steso sull’erba col gomito sulla sella venne un grave oblìo d’ogni cosa reale. Chiuse gli occhi e s’addormentò.
Lo svegliarono per ripartire, e vedendolo guardarsi attorno, compare Zua gli disse:
— Istevene è andato avanti.
Istevene infatti era già presso Nuoro, ma mentre il puledro lontano dai suoi compagni
- ↑ Padrino.