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mentre soffia il levante 313

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Deledda - I giuochi della vita.djvu{{padleft:321|3|0]] e siccome aveva già bevuto vino ed anice, i suoi occhi neri brillavano e le sue labbra rosse ardevano tra la folta barba nera. Era bello e fresco come un Dio campestre.

Bonas tardas,[1] — disse sedendosi vicino al suocero, davanti al focolare ove ardeva un tronco d’elce. — Il Signore vi conceda cento Natali. Come ve la passate?

— Come i vecchi avvoltoi che han perduto gli artigli, — rispose il fiero contadino, che cominciava ad invecchiare. E recitò quei versi famosi:

S’omine cando est bezzu no est bonu....

Fu allora che si parlò della leggenda sui nati la sera di Natale.

— Andremo alla messa, — disse zio Diddinu, — al ritorno faremo una bella cena e dopo canteremo, dunque!

— Anche prima, se volete.

— Prima no! — disse zio Diddinu, battendo il bastone sulla pietra del focolare. — Finchè dura la Santa Vigilia bisogna rispettarla: Nostra Signora soffre i dolori del parto e noi non dobbiamo nè cantare, nè mangiar carne.

  1. Buone ore tarde.
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