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LIBRO TERZO 125

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Della Nuova Istoria.djvu{{padleft:143|3|0]]alzatolo quindi sopra uno scudo e cintogli, suo malgrado, il capo di diadema[1], acclamanlo imperatore augusto.

Il cesare, sebbene mal volentieri comportasse l'avvenuto, pur non potealo con sicurezza stornare, quando, in cambio, di forza veruna erano per Costanzo e giuramenti e patti, od altra osservanza di fedeltà sacrosanta infra mortali. Speditagli impertanto ambasceria, informavalo di essere stato dai militi contra il voler suo dichiarato imperatore; ma protestavasi ad un'otta, se tale fosse il parere di lui, pronto a dimettere il diadema ritenendo la sola onoranza di cesare. Costanzo invece, lasciatosi trasportare da fortissimo sdegno, rispose con burbanza ai legati: Dover Giuliano, se portava amore alla sua vita, deporre unitamente alla imperiale dignità i cesarei distintivi, e tornato alla condizione privata addivenirgli in tutto obbediente, mercè di che non soggiacerebbe ad ulteriori molestie o punigioni meritevoli dell'attentato commesso. Giuliano, ricevuta dagli ambasciadori la tremenda risposta, disvela senz'ambage i sentimenti dell'animo suo, dicendo chiaro alla presenza dell'universale bramar egli fidare sua vita piuttosto ai Numi che alle parole di lui, e da questo momento nessuno più ignorò le intenzioni di Costanzo verso Giuliano. Il primo intanto preparavasi ad

  1. Nel parapiglia le truppe, non avendo in pronto un diadema da circondargli il capo, erano per supplirvi con femminile benda, ma egli nol permise ritenendolo cattivo augurio. T. S.
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