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LIBRO TERZO | 157 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Della Nuova Istoria.djvu{{padleft:177|3|0]]mamente le Persiane frontiere, obbligandosi in pari modo le reali genti a rispettare quelle del Romano impero[1].
Qui giunto, mi viene in pensiero di far ritorno alle precedenti cose per indagare se in alcun’epoca i Romani poterono a sè stessi imporre di consegnare altrui il proprio, o comportare la menoma cessione di quanto stati erano possessori. E di vero da quando Lucullo, cacciato dal regno Tigrane e Mitridate, primo fu ad acquistare all’impero le regioni tutte insino all’estremità dell’Armenia, ed anche Nisibi co’ suoi confinanti castelli; da quando Pompeo il Grande, mettendo fine a quelle nobilissime geste colla pace da lui dettata, ne rendè stabile ai Romani il possesso; avvegnaché poi, tornati alle armi i Persiani, Crasso, eletto a pretore con supremo potere, lasciato abbia insino al presente giorno turpe nota d’infamia alle armi Romane, fattosi imprigionare nella battaglia per essere poscia condotto in Persia ed ucciso[2]. Avvegnachè, ripeto, Antonio mandato in seguito a capitanare l’esercito ed invaghitosi di Cleopatra, per negligenza e pigrizia nel proseguire la guerra,
- ↑ I Persiani al contrario facevano un ponte per valersene, sottoscritta la pace unitamente alle stipulatevi condizioni, e sedato il turbinio della guerra, a scorrere le campagne e predarne l’affaticato bestiame, ma osservate lor trame scoperte desistettero dal nefando attentato. (Marcellino, lib. XXV). T. S.
- ↑ Il cui capo, dall’imbusto riciso presso de’ Carri, veniva dai nemici schernito. T. S.