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20 | Lettera Quarta |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Dieci lettere di Publio Virgilio Marone.djvu{{padleft:27|3|0]]
Ai Legislatori della nuova Arcadia P. Virgilio, Salute.
Erano gl’italiani in tumulto poi ch’ebbero udita la sentenza da noi pronunciata sopra il poema di Dante, e temerono non qualche danno all’onore della italica poesia sopravvenisse per l’autorità, che ottiene ancora nel mondo il suffragio degli antichi maestri. Videsi a molti segni esser gl’italiani poeti, ed autori oltre modo gelosi per lor natura della gloria poetica, e letteraria. Quindi al primo raccogliersi, che noi femmo altra volta, eccoti d’ogni parte accorrere svolazzando anime ed ombre, che qual uno qual altro degl’italiani poeti ci presentano in varj libri, e volumi di ogni mole e figura. Noi fummo dapprima di tanto numero sbigottiti, sapendo noi; e dicendolo spesso Orazio a gran voce esser pochi i buoni Poeti privilegiati da Giove, e per viva fiamma ed ardente degni del Cielo. Io non osava stender la mano ad alcuno per non offenderne mille; sinche vedutomi appresso un Petrarca, che un piccol volume era e discreto, a quel m’appigliai. Il nome di ristorator delle lettere, la corona poetica da lui ottenuta in campidoglio, e la fama delle sue rime, n’accendevano di curiosità. Egli più volte s’era con noi trovato in persona, ma non d’altro che del suo poema dell’Africa, e d’altre opere sue latine ci aveva intertenuti, avendogli quelle più che