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Lettera Prima | 1 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Dieci lettere di Publio Virgilio Marone.djvu{{padleft:8|3|0]]
PUBLIO VIRGILIO MARONE
A’ Legislatori della nuova Arcadia, Salute.
Utto l’Elisio, o Arcadi, è posto in tumulto dagl’italiani Poeti, che, d’ogni età, d’ogni stato, qua scendono in folla ogni giorno a perturbare la pace eterna de’ nostri boschetti. Par che la febbre, per cui gli Abderiti correvan le strade recitando poemi, sia venuta sotterra co’ vostri cantori, verseggiatori, e poeti importuni a profanare con barbare cantilene ogni selva, ogni fonte, ogni grotta sacra al silenzio, e alla pace dei morti. Ogn’italiano che scende tra noi, da alcun tempo in qua, parla di versi, recita poemetti, è furibondo amatore di rime, e recasi in mano a dispetto di tante leggi infernali, o tometto, o raccolta, o canzoniere, o sol anche Sonetto e Canzone, che vantasi d’aver messa in luce, benché a tutt’altro mestier fosse nato. Or pensate, Arcadi Magistrati, in qual confusione sia tutto il nostro pacifico regno poetico. Orazio, Catullo, Properzio, e gli altri miei vecchi compagni Latini e Greci, che non han meco tentato per calmar questa insania? Ma peggio abbiam fatto. Costor ci trattano con disprezzo, non fan conto di Greci né di Latini, e dicono apertamente di voler oscurare la nostra fama, e scuotere il giogo dell’antichità per tanti secoli, e da tante nazioni portato. Giunse talun di loro a rimproverarci l’ignoranza del linguaggio italiano, per la quale non