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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Dopo il divorzio.djvu{{padleft:15|3|0]]prese una di queste bisaccie, la portò più in là, poi la riportò sul posto donde l’aveva presa.
— Ecco, finiscila, — disse ansando per lo sforzo fatto, — che cosa vuoi farci? Non bisogna poi disperarsi; che diavolo, colomba mia; se il pubblico ministero ha chiesto i lavori forzati, non vuol dire che i giurati siano cani rabbiosi come lui...
L’altra continuò a piangere e scuoter la testa, e fra i singulti gridava:
— No... No... No...
— Sì! Sì! Ti dico che è sì! Alzati o chiamo tua madre, — gridò la donna, gettandosele sopra. E le sollevò a forza la testa.
Apparve un bel viso tondo e rosso, circondato da folti capelli neri scarmigliati, con due occhi neri gonfi e lucenti di pianto, e due sopracciglia nere foltissime, congiunte, arruffate.
— No! No! — gridava Giovanna, dibattendosi. — Lasciatemi pianger sulla mia sorte, zia Porredda mia...[1]
— Che sorte o non sorte! Alzati.
— Non mi alzo! Non mi alzo! Lo condanneranno a trent’anni per lo meno. Voi non capite dunque che lo condanneranno a trent’anni?
— Questo sta a vedersi. Eppoi, cosa sono trent’anni? Ma tu sembri un gatto selvatico, sai?
L’altra strillava, si strappava i capelli, colta da un accesso di disperazione selvaggia. E gridava:
— Trent’anni! Cosa sono trent’anni? La vita di
- ↑ Porredda, femminile e diminutivo di Porru.