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20 LA FARSAGLIA

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Ma di spiegarli ha tema, e s'assomiglia
La lor quiete all'infedel bonaccia
Dell'alto mare, o ai taciturni campi,
Quando gli augei loquaci il verno affrena.
  320Avea fugato il dì le gelid'ombre,
E nuova face, e nuovo spron s'aggiugne
All'ondeggiante cor, e già s'allenta
Ogni freno al pudore. In vago velo
L'orror s'involve, e a ritrovar cagioni
325La sorte s'affatica. Infranti i dritti,
Coi Gracchi fulminati infra le incerte
Fluttuanti Tribù cacciò il Senato
I discordi Tribuni. A loro è guida
Alle tende del Duce il troppo audace
330Facondo Curion nel regger destro[1]
L'abbjetta plebe, e nel fiaccar i grandi.
Allorchè vide il pensieroso Duce,
Mentre far scudo al tuo partito, ei disse,
Si potè colla voce, io contro i voti
335Del ritroso Senato i buon Quiriti
Piegai a prolongarti il dolce impero.
Ma perchè oppresse dall'armate schiere
Tacquer le leggi, da paterni Lari
Caccuati siam, e con spontaneo esiglio
340Andiam raminghi: cittadin ci renda
La tua vittoria. Or che l'avversa parte
Palpita inerme, ogni dimora rompi:
Periglioso è l'indugio ai già disposti:
Premio maggior ai rischi tuoi s'appresta.
345Te per due lustri raggirò fra l'armi

  1. Curione era in Roma molto potente per nascita e per impiego. Giovine, e Tribuno della plebe aveva il Popolo nelle mani. Cesare se lo guadagnò col pagare un'immensità di debiti da lui contratti.
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