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34 | LA FARSAGLIA |
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I Flamini ravvolti; e mentre intorno
Col longhi giri alla città se'n vanno,
Le sparse particelle accoglie Arunte
735Del fulmin fiammeggiante, e le imprigiona[1]
Sotterra mormorando infauste note,
E Bidental chiama quel luogo, e quindi
All'altar appropinqua un toro eletto.
Già si versava il vino, e su la fronte
740Cadean le sacre biade, e già la vittima
Fra le corna allacciata e genuflessa
All'ingrato olocausto offriva il collo;
Ne' fuori zampillò l'usato sangue:
Ma dall'ampia ferita atro veleno
745Sgorgar si vide. A sì ferale obbietto
Aronte impallidì lìira de' Numi
Nelle fibre tracciando: a lui spavento
Era il color, che moltiforme il sangue
Nelle macchiate viscere pingea
750Di quallor, di putredine e di gomma.
Vizzo il fegato mira, e minacciose
Dal lato ostil le vene. Ascoso giace
Il polmon anelante, e picciol lingua
Parte gli organ vitali: il cor s'allenta,
755E sfracellare fan schizzar le viscere
Putrido sangue. E ciò che mai non vide
Impunemente Aruspice, o porremo!
Ecco vede aggrandirsi in su la fronte
Una parte di fibre agil, guizzante,
760Mentre l'altra se'n giace olente ed egra.
- ↑ È d'uopo dire, che i Romani avessero non ben conosciuta la natura de' fulmini, elettrica, e volatile; e che forse col nostro volgo opinassero che fossero composti di materia soda a guisa da una freccia di pietra.