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26 la palingenesi di roma

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Ferrero - La palingenesi di Roma, 1924.djvu{{padleft:37|3|0]] essendo pubbliche, egli biasimava che fossero di privati. E questo spaventò molti senatori che ne eran possessori, e vedevano in pericolo le cose loro. Ma erano ancor più inquieti perchè il Console con queste largizioni si acquistava una potenza pericolosa alla libertà. »[1]

Così la grandezza romana, idealizzata tutta insieme come una meraviglia sovrumana, ci apparisce umanissima nei singoli elementi di bene e di male, che la compongono. Questa è nel tempo stesso la grande bellezza e la profonda verità dell’opera di Livio, alle quali corrisponde mirabilmente lo stile. Lo stile di Livio è veramente come un fiume immenso dalla corrente tranquilla, che scende dal monte sicuro di arrivare alla foce, trasportando una mescolanza di cose diverse. Nei momenti solenni, o tragici, è maestoso e lento, quasi per trattenere il respiro a chi legge e non accontentarlo nella sua impazienza con piccole frasi rapide; alle volte perde la sua serenità olimpica, si commuove, si agita come uno stagno in cui sia piombato un macigno; ma la chiusa degli avvenimenti è spesso composta con poche frasi corte e succosissime, che appaiono più potenti che mai, appunto perchè, con grande arte, son collocate dopo un periodare ampio e fertile, in cui le frasi tendono la mano una all’altra e si allacciano con rotonda scorrevolezza. In tal modo i due ritmi si sostengono e si analizzano a vicenda: il primo mette

  1. Liv., 2, 41,
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