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capo secondo 33

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Galiani, Ferdinando – Della moneta, 1915 – BEIC 1825718.djvu{{padleft:39|3|0]] egli allora soddisfa altre passioni. Perciò questi metalli sono compagni del lusso, cioè di quello stato, in cui i primi bisogni sono giá soddisfatti. Perciò, se il Davanzati dice che «un uovo, il quale un mezzo grano d’oro si pregia, valeva a tener vivo dalla fame il conte Ugolino nella torre ancora il decimo giorno, che tutto l’oro del mondo non valeva», egli equivoca bruttamente fra il prezzo, che dá all’uovo chi non teme morir di fame se non lo ha, e i bisogni del conte Ugolino. Chi gli ha detto che il conte non avria pagato l’uovo anche mille grani d’oro? L’evidenza di questo errore la manifesta a noi lo stesso Davanzati, poco dopo, ma senza avvedersene egli, dicendo: «Schifissima cosa è il topo; ma nell’assedio di Casilino uno ne fu venduto duecento fiorini per Lo gran caro; e non fu caro, poichè colui, che il vendè, morio di fame, e l’altro scampò»[1]. Ecco che pur una volta, grazie al cielo, ha confessato che «caro» e «buon mercato» sono voci relative.

Se poi alcuno si maraviglierá come appunto tutte le cose piú utili hanno basso valore, quando le meno utili lo hanno grande ed esorbitante, egli dovrá avvertire che con maravigliosa provvidenza questo mondo è talmente per ben nostro costituito, che l’utilitá non s’incontra mai, generalmente parlando, colla raritá; ma anzi, quanto cresce l’utilitá primaria, tanto si trova piú abbondanza, e perciò non può esser grande il valore. Quelle cose, che bisognano a sostentarci, sono cosí profusamente versate sulla terra tutta, che o non hanno valore o l’hanno assai moderato. Non si hanno però da questa considerazione a ritrarre falsi pensieri di accuse contro al nostro intendimento, e ingiusto disprezzo di quel che noi apprezziamo, come tanti fanno; ma si bene si dovrebbero produrre ognora sentimenti di umiliazione e di rendimento di grazie alla mano benefica di Dio e benedirla ad ogni istante; il che da ben pochi si fa.

  1. Plinio, viii, 57 [82]; Frontino, iv, 5; Valerio Massimo, vii, 6.
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