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7 | NOTIZIE SULLA VITA | 8 |
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maravigliare se gl’ingegni i più gentili tra i nostri, sia che coltivasser le muse o pur la filosofia, non abbiano preso a sdegno di vogliersi alla cucina, e al piacer dei conviti. Nette, decenti, odorose erano le stanze, nelle quali si preparavano le vivande: All’odor che si sente, dice Cratino, o vi è chi vende incenso, o un cuoco di Sicilia[1]. I filosofi stessi, che non amavano in quei tempi la severità, dettavano ancora sull’arte di condire i cibi delle lezioni nelle cucine de’ grandi. Aristippo, ch’era, come oggi dicesi, un uomo di spirito e di mondo, tenea gran cura della mensa del giovine
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Dionisio, speculava della nuova vivanda ed occupavasi del loro condimento. Si filosofava dunque in Sicilia anche cucinando, e bella mostre faceasi di sapere, e di leggiadria parlando di cibi di leccumi. Però ad Eraclide, e un certo Dionisio, e tanti altri si ricordan tra noi che presero a scrivere dell’arte di raffinar la cucina, e ben condurre le vivande.
Tra questi tutti levò principalmente il grido Archestrato, che scrisse un poema col titolo di Gastronomia o Gastrologia, del quale ci restano ancora non pochi frammenti presso Ateneo. Fu egli un colto e spiritoso poeta, il quale di eleganza vestì e di vaghezza l’armamento della cucina; ma, già famoso a’ suoi tempi, non fu poi presso alcuni in egual pregio tenuto. Archestrato fu certamente Siciliano, ma ignorasi se di Siracusa, o pur di Gela: forse era egli da Siracusa; ma Ateneo sulle prime ne dubita, e più presto quindi lo chiama Geloo per pigliare il destro di pungerlo, come si fa, con una arguzia, dicendolo di Gela o piuttosto di Catagela[1], che vale, degno di riso: vano giuoco di parole, ed epigramma, per quanto pare, non molto faceto. L’incertezza, in cui fu posta la sua patria, non fu la sola ingiuria che ebbe a soffrire il suo nome e la sua memoria. Archestrato ebbe la disgrazia di cader nelle mani di alcuni melanconici, che affettando rigore e stoicismo in più modi Io straziarono; il sue poema fu chiamato da quel miserello di Crisippo la Metropoli della filosofia di Epicuro, e fu proscritto dal medesimo al par de’ poemi lascivi di Filenide; i suoi versi furono detti per derisione i versi dorati, o pur la Teogonia deli ghiottoni, e i tltoli, de’ quali venne onorato, furono tutti ingiuriosi e ridevoli: il Ghiotto, l’Emulator di Sardanapalo, l’ingegnoso cuciniere, il general delle mense l’Esiodo de’ leccardi, il Teognide de’ golosi’; o per ironia il sapiente, il sottile, il preclaro poeta, il Pitagorico, o altro simile. È sì continuo presso Ateneo l’uso di unire al nome di Archestrato una qualche villania, che alcuni son venuti nel sentimento Archestrato autore dell’opera de’ sonatori di tibia. essere stato diverso dal nostro, poichè senza aggiunta d’ingiuria quello vi trovano ricordato. Io non voglio definire di qual momento sia una sì fatta ragione, ma, egli è certo, che Archestrato solo si ebbe la mala ventura. — Egli corse per la Grecia e pe’ luoghi i più colti della terra allor conosciuta per istruirsi, come
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