Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
- 6 - |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Gazzetta Musicale di Milano, 1842.djvu{{padleft:10|3|0]]sini. I buoni e imparziali intelligenti milanesi, al primo udire le composizioni di Bellini, ebbero a provarne grandissima soddisfazione; perocché notarono a primo tratto nello scrivere del giovine maestro siciliano i felici tentativi di ricondurre lo stile drammatico musicale alle schiette e pure sue forme naturali, presentando la frase melodica sviluppata con semplicità e chiarezza e sfrondata d’ogni bizzarro contesto di note e più presto destinata a scuotere con penetrante accentazione la sensibilità morale dello spettatore, anziché a sorprendere o a lusingare la sua percezione fisica. I meno fanatici ammiratori del Bellini, udite le prime recite del Pirata, applaudirono in lui un compositore, il quale, lungi dal pretendere a mutare di primo lancio il sistema melodrammatico in voga al suo tempo, accennava di voler fare i possibili sforzi a mettersi su una strada migliore, pieno della brama è fors’anco della speranza che col perseverante e indefesso studio de’ sommi modelli sarebbe pur giunto a meritarsi quel vanto di fortunato innovatore al quale aspirava non senza qualche buon fondamento. Ben avvisarono essi di leggieri ch’ei non possedeva al certo tutto il tesoro delle doti di fantasia e di sapienza che sariagli abbisognato a superare con irresistibil possa le immense difficoltà cui doveva farsi incontro per giugnere al compimento de’ suoi voti, e non di meno sperarono che in grazia della sua indole altamente passionata e tutta meridionale, a quanto sarebbe mancato nelle sue Opere in ricchezza d’invenzione, in isfoggio di svariate e originali forme, in ampiezza di sviluppi, in grandiosità e potenza di prestigii stromentali, avrebbe supplito colla verità costante della espressione drammatica, coll’abbondanza del sentimento e col sempre evidente proposito di imprimere alle sue partizioni un sì vivo colorito poetico, che desunto dall’indole e dall’intimo pensiero del poema, sempre tendesse a unificarsi con questo, e a formare un tutto caratteristico e inalterabile nelle menome sue proporzioni.
Questa aspettazione non venne punto delusa nelle composizioni belliniane susseguite al primo suo clamoroso saggio. La Straniera, la Giulietta e Romeo, la Sonnambula, e più di tutte la Norma e i Puritani, marcarono i continui progressi di un ingegno che incessante tendeva a lanciarsi verso le più limpide regioni della creazion musicale, e i giusti apprezzatori del merito di questo insigne Italiano applaudirono ai generosi suoi sforzi mercè i quali, senza arrogarsi di voler sostituire nè la propria maniera, nè il proprio stile ad altre maniere e ad altri stili, ambiva però ad essere riconosciuto felice apostolo di un genere di musica drammatica, che nel1'Italia nostra poteva col tempo esercitare, come infatti esercitò, una molto utile reazione[1].
Nessuno degli ammiratori del Bellini, e non solo gli ammiratori ragionevoli, ma neppure gli esaltati, coloro che acclamavano in lui il melodista pittore degli affetti, lo scrittor passionato che aveva saputo trovare la più penetrante accentazione musicale dell’amore, della gelosia, del dolore concitato, dell’ira, del terrore...; nessuno, dicevamo, osò mai profferire la stolta bestemmia ch’ei potesse essere vantato nè pari nè tanto meno superiore al grande Rossini, nè tale in somma che avesse a far dimenticar punto le mirabili creazioni del più immaginoso tra i compositori di tutte le età e di tutte le nazioni. Ben è vero che taluno scrittor da giornale lasciò traviar la penna a stendere qualche articolo ispirato da un cieco impeto di adorazione effimera. Ma assolutamente neghiamo che in Milano siasi mai ventilata sul serio la quistione se fosse più uomo di genio l’autor del Pirata e della Norma o quello dell’Otello e della Semiramide, e meno poi che al giugnere di Rossini tra noi essa quistione fosse già sciolta a tutto onore del suo antagonista. A cagione della pochissima cura che si diedero fino al presente i fogli nostri di esercitare sullo spirito del pubblico l’influenza di una critica musicale illuminata e filosofica, e per l’effetto di molte altre cause che tendono pur troppo a pervertirne il gusto, molte volte si appalesò questo non conforme ai savii principii del bello, e trascorse anche a riprovare talora ciò che voleva essere lodato o ad esaltare più o meno quanto era da condannarsi all’obblio; ma, astrazion fatta di alcuni casi speciali (che però vorremmo vedere meno frequenti), il giusto sentimento e il retto criterio di ciò che veramente ha un merito distinto nelle manifestazioni varie del genio musicale, predomina spessissimo sia ne’ nostri teatri, sia nelle nostre grandi accademie sopra quella specie di materiale e zotica pretesa alla intelligenza di pratica che troppo facilmente vien messa innanzi dalla moltitudine de’ così detti abituati. Vogliamo dire con ciò che, ove il signor Fétis, allorachè fu ultimamente di passaggio per Milano, si fosse data la briga d'informarsi un po’ più a fondo del modo col quale sanno tra noi sentire il bello e il buono in fatto di musica, non il volgo delle platee (eguale dappertutto) ma le persone colte e i veri amatori, non avrebbe gettate là a caso quelle poche frasi male a proposito destinate ad esporre una falsità di fatto colla intenzione di formulare un inconveniente e ingiusto giudizio. Noi mettiamo pegno, e ne assicuriamo il signor Fétis, che anche ne’ giorni in cui più alto suonava tra noi il nome di Bellini, e i cuori erano più che mai inclinati a palpitare alle sue soavi cantilene, ove si fosse annunziato, non un’Opera intera, ma un solo pezzo di musica nuova dovuto al genio del grande maestro, l’attenzione pubblica si sarebbe di lancio rivolta ad esso, e il grido dell’acclamazione più entusiastica avrebbe trovato un eco in tutti gli animi ricordevoli dei prodigi di una incomparabil musa! Era ella colpa de’ Milanesi se mentre Bellini faceva succedere partizioni nuove a nuove partizioni, il cigno di Pesaro taceva né dolci suoi ozii?
Come ebbe il torto di dare in una inconcepibile esagerazione o di pigliar anzi un solenne abbaglio nell’affermare che fuvvi un momento in cui in Milano Bellini aveva fatto dimenticar Rossini o poco meno, così grandemente si ingannò il sig. Fétis nell’aggiugnere che poco dopo quel periodo di fanatismo belliniano, il povero maestro di Catania cadde per noi in letale obblio. A confutare una sì falsa asserzione ne basti l’appellarci a tutti coloro i quali anche nelle più recenti stagioni teatrali, non solo in Milano, ma in ben molte altre città d’Italia, ebbero ad assistere alla rappresentazione, non delle sole migliori Opere di Bellini, ma ed anche delle meno lodate. Siane un esempio la Beatrice di Tenda cui non toccò mai come in quest'ultimi tempi più bella sorte ovunque fu data, ed ebbe a smentire con clamorosa riuscita l'erronea opinione invalsa che fosse opera non degna dell'autor della Norma! Da che la morte ci rapì l'insigne maestro, anziché scemare, andò sempre crescendo la voga per le sue ispirate creazioni, e doveva essere così. Concepita più per vigore di sentimento che per esuberanza di vena inventiva, più propria a parlare all'anima con accentazioni passionate, anziché con isfoggio di svariate combinazioni meodiche originali e bizzarre, la musica di Bellini vedrà dilatarsi la sfera di coloro che spranno degnamente apprezzarla in ragione che, col progredire della civiltà de' popoli, si accrescerà di pari passo la finezza del sentire e la dilicateza del gusto, e si farà più comune quella squisita e scelta maniera di giudicare del bello nelle arti che solo è compartita dalla coltura dello spirito congiunta alla nobiltà dell'animo.
Ma ciò che ora non facciamo che accennare sarà forse tema di più sviluppato ragionamento in altri fogli, ne' quali proveremo a far chiaro ad un tempo quanto il chiarissimo sig. Fétis non solo (a nostro giudizio) apprezzasse inconvenientemente il genio del Bellini, ma ed anche desse poco giuste sentenze intorno ad altri primarii nostri compositori ed artisti[2]
B.
CRITICA MELODRAMMATICA
Altre osservazioni critiche intorno alla MARIA PADILLA, del maestro Donizetti.
Abbiamo detto con tutta franchezza nel nostro primo articolo che della Maria Padilla ne piace molto più la terza parte delle altre due, e che la prima di queste ne sembra poco felicemente contesta di pezzi gli uni agli altri appiccicati senza veruna adesione od omogeneità drammatica. Veniamo ora alle prove e procuriamo di mostrare che questo difetto di unità e di fusione dello spartito è da attribuirsi in gran parte al poeta, il quale da una discreta tragedia francese trasse un discreto argomento teatrale, che poi discretamente guastò per volere in qualche modo acconciarlo alle convenzionali esigenze della scena lirica.
Cominciamo dall'aria di sortita di madamigella Ines. Circondata da un coro di scudieri e paggi, non punto diverso da cento altri cori coi quali si aprono cento e più altri melodrammi, ella viene a dirne su una sufficiente filastrocca di versi per parteciparci la novella del suo matrimonio con don Luigi, e per contarci meraviglie del suo sposo e dell’amore che gli porta, tutte cose delle quali assai poco importa allo spettatore e pochissimo all’interesse ed all’economia del dramma. Ma siccome, giusta le convenienze teatrali, ci voleva la cavatina della prima donna comprimaria,
- ↑ Alcuni pochi compositori guastamestieri, affettando di imitare lo stile beilliniano, mancanti del forte e poetico suo sentire, produssero un genere affettato e bastardo, del quale a suo tempo procureremo di fare la debita giustizia in questi fogli.
- ↑ Il Grande Dizionario degli uomini musicali, opera acclamata dell'egregio direttore del Conservatorio di Brusselles, ne offrirà parecchi temi di polemica che noi dedicheremo al doppio ufficio di rettificare gli sbagli di fatto ne' quali ei ne sembra incorso, massime nella parte italiana, e di contrapporre a quelle dell'egregio Autore le nostre opinioni sul conto de' molti nostri artisti viventi.
B.